Si chiama robotica educativa. E anche se il nome può sembrare nuovo, indica una disciplina che si sta diffondendo rapidamente. Consiste nell’usare gli strumenti della robotica, come ad esempio piccoli robot, per stimolare il pensiero logico e la creatività, ma anche lo spirito di collaborazione e l’inclusività.
Per le scuole questa materia rappresenta un miglioramento dell’offerta didattica sia nel contenuto sia nelle modalità di insegnamento, poiché la robotica educativa evita le classiche lezioni frontali a cui tutti gli studenti sono abituati, ricorrendo a oggetti comuni e familiari ai bambini. D’altronde, la robotica è sempre più presente nella nostra vita. Per questo è importante permettere ai ragazzi di familiarizzare con questa materia sin dai primi anni di scuola.
Insegnare robotica nelle scuole, fin da quelle elementari è molto importante perché è alla base di molte altre materie e operazioni della nostra realtà.
La pensa così anche Andrea Ponti, il giovane consigliere comunale di Casorezzo (piccolo paese in provincia di Milano), che ha spinto perché la scuola elementare e quella media del suo comune avviassero dei corsi di robotica educativa, dopo averla conosciuta nel suo percorso di laurea in Informatica.
«Insegnare robotica nelle scuole, fin da quelle elementari è molto importante perché è alla base di molte altre materie e operazioni della nostra realtà», spiega. «Il nostro obiettivo generale, però, non è rendere gli studenti degli esperti in robotica, ma utilizzare la robotica come driver per sviluppare le loro passioni e interessi: in questo modo, inoltre, dimostriamo subito le applicazioni che possono avere le materie scientifiche».
Per incuriosire i bambini e le bambine delle scuole elementari si utilizzano metodi innovativi, dice Ponti. «Tenere lezioni frontali sarebbe controproducente quindi utilizziamo oggetti che i piccoli studenti conoscono già, come i Lego. Usiamo dei kit chiamati Mindstorm, messi a disposizione dalla Lego stessa. Con questo si possono fare cose semplici, come costruire un piccolo robot che esegue alcuni comandi, fino a cose più complesse». Del resto, «quale bambino o bambina se si trova con dei Lego in mano non comincia a giocarci?»
Un ulteriore aspetto positivo è che i ragazzi lavorano al robot in piccoli gruppi. In questo modo imparano fin da subito a fare squadra e a collaborare con gli altri.
Il processo di insegnamento ai ragazzi procede per tappe. «Alle elementari si incomincia con la meccanica dei robot: i bimbi, mentre li costruiscono, si rendono conto che unendo dei mattoncini tra loro si generano dei movimenti nel robot. Poi, progressivamente, si passa a usare i pc o i tablet per programmare questi robot, fino ad arrivare alle scuole medie dove si utilizzano dei codici a blocco, che sono un aspetto un po’ più complesso».
I ragazzi imparano facendo, è il cosiddetto learning-by-doing. «Alle elementari questo metodo può essere molto efficace», spiega Ponti. «Un ulteriore aspetto positivo è che i ragazzi lavorano al robot in piccoli gruppi. In questo modo imparano fin da subito a fare squadra e a collaborare con gli altri, sviluppando spirito di collaborazione e inclusività».
Il comune di Casorezzo ha condiviso la proposta che Ponti ha fatto in Consiglio comunale e il progetto è stato poi accettato dalle scuole. Ma nel concreto come si sviluppa un progetto del genere? «Una volta approvato, al progetto hanno scelto di partecipare sia la scuola elementare sia quella media di Casorezzo. E questo è positivo perché si crea una certa continuità e il progetto diventa più efficace», racconta Ponti. «Si utilizzano le ore di informatica e si inizia sin dalla prima elementare fino alle medie. L’insegnamento è completamente affidato agli insegnanti, che quindi hanno dovuto fare dei corsi di formazione».
La disponibilità degli insegnanti è un aspetto fondamentale per la riuscita del progetto. I professori sia per percorso di studi sia per motivi anagrafici non sono esperti di robotica. «Si sono mostrati molto interessati e disponibili a fare i corsi», dice Ponti.