È dal 2006 che il World Economic Forum misura attraverso uno specifico rapporto le disparità di genere nel mondo, ed è da sempre che per colmarle ci vuole tanto, troppo tempo. Secondo il Global Gender Gap Report 2020, infatti, alle condizioni attuali occorreranno ancora 99,5 anni per raggiungere la parità tra donne e uomini in tutti i campi: lavorativo, economico, familiare, educativo, sanitario. Ben 257 anni se si considera solo il divario retributivo, anche noto come gender pay gap: in media, nel mondo le donne guadagnano ancora il 13-15% in meno rispetto agli uomini, e le statistiche sono in peggioramento.
A fronte di alcuni Paesi che storicamente svettano per parità (Islanda, Norvegia e Finlandia in testa alla classifica globale), la situazione in generale è ancora molto arretrata. Ciò sebbene ci siano stati dei miglioramenti: dai 108 anni previsti per il raggiungimento della parità del 2018 si è calati all’indice attuale. Ma non basta.
Se in 40 su 153 Paesi la parità di genere a livello educativo è stata raggiunta, e complessivamente occorreranno solo 12 anni per attuarla pienamente in tutto il mondo, spiega il rapporto, in termini di rappresentanza politica le donne sono ancora ai livelli più bassi, con un mero 25,2% a livello mondiale di figure femminili ad occupare ruoli da parlamentare, e 21,2% tra le posizioni ministeriali. Se la crescente emancipazione politica delle donne ha portato anche un aumento delle donne in posizioni manageriali all’interno delle aziende, d’altra parte nel mercato del lavoro la partecipazione femminile è rimasta sostanzialmente stabile, mentre le disparità finanziarie sono aumentate.
È proprio l’aspetto economico ad essere quello più penalizzante per le donne, con una percentuale di parità del 57,8%. È «l’unica dimensione in cui il progresso ha regredito», scrive il World Economic Forum. Questo, si legge nel rapporto, è dovuto a tre ragioni principali: le donne lavorano di più in mansioni che si stanno progressivamente automatizzando; non ci sono abbastanza donne nelle professioni che offrono migliori opportunità retributive (parliamo soprattutto dell’ambito tecnologico, ma non solo); da ultimo, le donne continuano a scontrarsi con l’annoso problema dell’insufficienza di sistemi di cura familiare, così come dell’accesso al capitale.
È proprio l’aspetto economico ad essere quello più penalizzante per le donne, con una percentuale di parità del 57,8%. È «l’unica dimensione in cui il progresso ha regredito.
Si tratta di problemi di non facile risoluzione, naturalmente. Ma se l’intenzione è di invertire la rotta, in ottica di aiuto non solo per le donne stesse, ma a beneficio dell’intera umanità, occorre agire. Per questo lo stesso World Economic Forum ha lanciato un progetto denominato “Closing the Gender Gap Accelerators”, che punta a fornire strumenti concreti per intervenire attivamente sul gap più gravoso, quello economico, e accelerare il cambiamento.
Il programma si articola su quattro dimensioni: la parità di genere al centro del mondo del lavoro post Covid-19, la chiusura definitiva del gap retributivo di genere tra diversi settori e all’interno degli stessi, la partecipazione femminile al lavoro, e l’inserimento di un maggior numero di donne in ruoli manageriali e di vertice. Questi obiettivi vengono raggiunti attraverso partnership pubblico-private che i diversi Paesi aderenti puntano a promuovere, sotto l'egida del Forum.
Finora, diversi acceleratori sono stati lanciati in vari Paesi: Cile, Argentina, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Panama, Perù, Egitto e Francia. Il programma si articola secondo diverse azioni. La National Level Action prevede il coinvolgimento di due ministri, 2-4 amministratori delegati e le 50-100 aziende più grandi del Paese. Il modello dura per tre anni e si articola in un piano d’azione specifico a livello locale, costruito sul modello globale del World Economic Forum.
Il Global Learning Network, invece, prevede partnership con altri Paesi più avanzati per lo scambio di informazioni ed esperienze. C’è poi il Closing the Gender Gap Playbook, una guida per i decisori politici e le aziende volta a fornire gli strumenti e le risorse necessari ad implementare azioni specifiche, contribuendo inoltre al monitoraggio dei risultati raggiunti.
Infine, lo scopo degli acceleratori è naturalmente quello di stabilire degli obiettivi concreti e quantificabili da parte delle imprese, attraverso dei “business commitments” volti ad aumentare le possibilità lavorative e ad accelerare il raggiungimento della parità di genere sul lavoro.
Molte aziende nel nostro Paese si sono dotate autonomamente di protocolli per tutelare e promuovere l’occupazione femminile.
Qualche esempio? In Cile, oltre ad iniziative legislative specifiche sulla parità salariale di genere, sono stati fatti accordi con agenzie interinali e head hunter specificamente volti all’aumento della presenza femminile in ruoli dirigenziali e di gerenza, e istituite certificazioni per le imprese che adottano pratiche per la parità di genere.
In Argentina, invece, le aziende possono aderire a un patto che prevede un’inchiesta interna e confidenziale sullo stato dell’impresa in riferimento agli equilibri di genere, lo sviluppo di un piano ad hoc da parte di una segreteria tecnica per correggere i disequilibri esistenti, seguite infine dall’ottenimento di una certificazione che consente l’accesso a benefici fiscali. Piani simili vengono adottati anche in Colombia e a Panama.
E in Italia? Malgrado il nostro Paese non sia nella lista dei Paesi che hanno adottato un acceleratore (non è mai troppo tardi per iniziare), a livello istituzionale qualcosa ha iniziato a muoversi, ad esempio con la proposta di legge per l’istituzione di un osservatorio statistico sulle disparità di genere, quella di un piano straordinario per l’occupazione femminile e l’emendamento al Dl Rilancio per l’introduzione di indici di misurabilità dell’inclusione di genere nelle aziende. Ancora: tra le proposte elaborate dalla task force “Donne per un nuovo Rinascimento” voluta dalla ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, c’è l’idea di una certificazione che attesti l’impegno dell’azienda nel garantire la parità di genere.
Molte aziende nel nostro Paese si sono dotate autonomamente di protocolli per tutelare e promuovere l’occupazione femminile. Un esempio è Pirelli, che ha introdotto, fra le altre cose, un Equal opportunity manager, una sorta di garante per le pari opportunità. C’è poi Valore D, prima associazione di imprese attivamente impegnate sul tema dell’equilibrio di genere, che ad oggi unisce 217 aziende in Italia.
Ancora, però, manca il nesso organico tra pubblico e privato, tra nazionale e internazionale che il World Economic Forum offre. Il tema che l’occupazione femminile e il superamento dei divari di genere presenti nel mondo economico e del lavoro siano di prioritaria importanza per la ripartenza, non solo dopo il coronavirus, sono ormai sotto gli occhi di tutti. Sarebbe il momento di avviare un acceleratore anche nel nostro Paese.