Martina Carpi ha ventiquattro anni e da quattro anni è l’allenatrice più giovane d’Italia di una squadra di calcio professionistica, il Genoa Under 12 Femminile.
«Ho iniziato a giocare quando avevo sei anni», racconta. Quando il movimento del calcio femminile non era certo diffuso e popolare come oggi. «Il calcio mi piaceva tantissimo. Forse anche perché abito vicino al campo dove si allena il Genoa. Forse perché mamma e papà sono grandi tifosi. Sta di fatto che la mia è sempre stata una passione molto forte». Per i primi tre anni era l’unica bambina della squadra. Ma questo non l’hai mai intimidita. «In un tema sui sogni, in terza elementare, scrissi che ne avevo tre: giocare per la squadra del cuore, andare in Nazionale e diventare poi un’allenatrice”».
Il potere dei sogni
A dieci anni ha trovato finalmente una squadra tutta femminile. Tra i pali, come portiere, ha giocato per tutto il corso della sua vicenda agonistica. A quattordici anni giocava già in Serie B ed è stata convocata più volte in Nazionale tra Under 17 e Under 19 giocando partite importanti contro Portogallo, Norvegia e Belgio. «A vent’anni un brutto infortunio mi ha costretta a fermarmi e così ne ho approfittato per prendere il patentino che mi consente di allenare le squadre giovanili, fino ai diciotto anni». Il corso, che ha una durata di sei settimane, è promosso dalla FIGC.
Un’educatrice, prima che un’allenatrice
«Prima di essere un’allenatrice cerco di essere un’educatrice», spiega. «Significa che oltre agli aspetti tecnici, di gioco, di preparazione fisica, mi sta molto a cuore portare alle mie ragazze un messaggio di rispetto e di educazione. Loro sono persone in formazione e io sono un esempio».
Talvolta io vengo a sapere le cose che le riguardano […] prima dei loro genitori. Mi sento una grande responsabilità. E mi piace molto.
La cosa buffa, aggiunge, «è che spesso mi chiedono come scartare al meglio un’avversaria, poi mi chiedono se possiamo ripassare insieme l’impero romano; poi mi domandano se questo o quel ragazzo è carino. Talvolta io vengo a sapere le cose che le riguardano, dalle cotte ad un brutto voto, prima dei loro genitori. Mi sento una grande responsabilità. E mi piace molto».
La sfida di allenare ragazze in formazione
Rispetto ai ragazzi, osserva, «penso che allenare le ragazze sia più sfidante: le mie atlete frequentano la quinta elementare e le scuole medie e per ogni esercizio mi chiedono il come e il perché. Devo avere sempre la risposta pronta e ben argomentata. I maschi, spero di non generalizzare eccessivamente, ma mi pare che siano più concentrati sull’aspetto tecnico, e siano più individualisti. Le femmine, invece, hanno più bisogno di sentirsi parte di una squadra». È sorellanza? Forse. «Comunque meno lo sguardo è attento e rivolto al singolo, senza lasciare indietro nessuno, più il gruppo funziona bene».
Contro pregiudizi e stereotipi
“Il calcio è uno sport solo per maschi”, ripetevano spesso a Martina quando era più piccola. ‘Se sei femmina, non andrai mai da nessuna parte…’. Ora le cose sono un po’ cambiate.
Non esistono sport da maschi e da femmine […] E’ una rivoluzione culturale verso la quale dovremmo impegnarci tutti: noi sportivi, la scuola, ma soprattutto le famiglie.
Anche se manca un po’ di strada da fare perché una bambina che gioca a calcio non faccia più notizia. «Una parte del mio lavoro consiste nell’andare nelle scuole, incontrare alunne e alunni per dire loro che non esistono sport da maschi e da femmine», aggiunge. «Quello che riscontro è che quando dico ai bambini che anche le bambine possono giocare a calcio loro strabuzzano gli occhi, mentre le bimbe hanno più consapevolezza. Sanno che, se lo desiderano, possono farlo. E’ una rivoluzione culturale verso la quale dovremmo impegnarci tutti: noi sportivi, la scuola, ma soprattutto le famiglie».
«Nei mie compiti rientra anche la gestione, come dire… “armonica”, con i genitori delle mie ragazze», racconta. «Con loro cerco di impostare subito delle regole di convivenza e rispetto e mi aspetto che vengano considerate. Devo riconoscere che non ho mai avuto grandi difficoltà con le mamme e con i papà».
Nella foto in apertura, Martina Carpi