«Le grandi corporation sono attori politici con complesse identità e strategie», spiega John Mikler, professore associato all’università di Sydney, nel dipartimento del governo e delle relazioni internazionali. Confutando l’idea che le grandi corporation siano esclusivamente orientate al profitto, Mikler, nel suo ultimo libro “The political power of global corporations” (2018), dimostra come cerchino non solo di guidare o modificare l’agenda degli Stati, ma anche di governare a pieno titolo. «Non competono tra di loro ma controllano i mercati e le persone i cui interessi devono servire».
L'analisi si concentra soprattutto sulle grandi corporation e sulle loro relazioni con gli Stati, le organizzazioni internazionali e la società civile. Suoi campi di interesse sono anche la globalizzazione, l’innovazione tecnologica, la crisi finanziaria mondiale, e il cambiamento climatico. Nel suo libro, il terzo, Mikler spiega che il potere delle corporation e quello dello Stato sono strettamente connessi. Le 500 più grandi corporation al mondo hanno sede in non più di 10 Paesi, e sono situate principalmente in Nord America, nell’Eu, e infine nell’est asiatico. Qual è quindi il ruolo dello Stato nel controbilanciare il potere delle corporation? «I governi devono fare il loro dovere, che è quello di agire e legiferare e governare nell’interesse dei loro cittadini, e non in quelli di una stretta cerchia di grandi corporation». «Ma non è quello che stanno facendo», continua Mikler, «e questo è il problema, ed è pericoloso».
Com’è nata l’idea del libro: The Political Power of Global Corporations?
Esiste poca letteratura sul potere delle corporation a livello politico. Ci sono approcci liberali che esaminano i mercati, approcci marxisti che considerano la lotta di classe, o statalisti che esaminano il ruolo dei governi, e in tutti questi diversi approcci il ruolo delle corporation come attori politici sembra scomparire. Inoltre, quando cercavo di proporre l’argomento delle corporation come attori politici ai miei studenti e ad altri interlocutori, tutti pensavano di non conoscere abbastanza l’economia o la finanza. La gente pensa di potere affrontare discorsi sulla società civile, il governo e le organizzazioni internazionali, ma qualunque discussione sulle multinazionali che abbia a che vedere con l’economia pensa sia troppo tecnica. Quindi ho pensato che fosse giunto il momento che qualcuno scrivesse un libro su questo, e che raccogliesse tutta la letteratura esistente sull’argomento.
Può spiegare la sua idea sulla relazione tra il potere dello Stato e il potere delle multinazionali?
Penso che i due poteri siano strettamente connessi. Guardando la mappa del potere delle multinazionali nel mondo si vede che è come una mappa del potere geoeconomico e geopolitico. Le 500 maggiori multinazionali del mondo provengono da non più di 10 Paesi, e circa il 40-50% di esse viene in primo luogo dagli Stati Uniti, poi dall’Europa occidentale, e infine dalla Cina o da altri Paesi dell’area dell’Asia orientale. A molte discussioni sull’economia globale e i mercati globali sfugge il fatto che c’è uno schema preciso per quanto riguarda il potere economico nel mondo, che è collegato al potere politico e agli Stati. Non accetto l’argomentazione secondo cui le multinazionali sono qualcosa di distinto e separato dagli Stati, per un approccio neoliberista, per il fatto che il mercato e le forze economiche sono più importanti dei governi e della politica. È una storia che ci è stata raccontata per dare a grandi corporation, che in effetti non competono molto tra di loro ma piuttosto controllano i mercati e le persone i cui interessi devono servire, quanta libertà e quanto potere vogliono per poterlo fare. Se si riconosce che il potere delle corporation e quello dello Stato sono strettamente connessi, allora dovremmo domandare ai nostri governi che facciano il loro lavoro e che governino per i loro cittadini, non per gli interessi di una stretta cerchia di grandi multinazionali.

La mappa del potere delle corporation nel mondo è come una mappa del potere geoeconomico e geopolitico
Come dovrebbe quindi essere strutturata la relazione tra il potere dello Stato e quello delle multinazionali?
La mia prospettiva è più liberale che marxista, anche se non vedo le due posizioni necessariamente distinte. Penso che l’analisi marxista – nella misura in cui funziona – è probabilmente migliore per vedere le cose come stanno, ma da un punto di vista liberale mi piace l’idea di mercati competitivi, l’idea di governi che regolano nell’interesse pubblico, e ancora l’idea di governi e di regolatori che sono separati da coloro che regolano, ma quello che sta succedendo ora è che ci sono confini più labili tra il settore privato e quello pubblico, e molta autoregolamentazione e regolamentazione privata. Ci è stato detto che il settore privato ha preso il controllo, ma in realtà c’è quest’unione di forze tra il settore privato e quello pubblico. Penso che questo sia molto pericoloso e che costituisca gran parte della causa di quello che è stato chiamato, a mio parere impropriamente, populismo. Non si tratta di populismo ma di democrazia, e la gente non è contenta dei partiti perché si rende conto che non stanno più governando nel loro interesse. E infatti stanno governando nell’interesse di grandi multinazionali, qualunque sia il partito che viene votato. Quindi penso che ciò che la gente vuole sia governi che li rappresentino.
Può fare un esempio di cosa dovrebbe essere fatto per regolare questa relazione in maniera più appropriata?
Se riconosciamo che c’è questo controllo delle corporation nel mondo non è appropriato avere accordi commerciali e discussioni in organizzazioni, come per esempio il World Trade Organisation (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), che riguardano i benefici del libero scambio e del libero movimento di investimenti, beni e servizi, quando in realtà questo movimento non è libero, ma controllato. Vorrei che queste discussioni fossero più focalizzate sugli standard ambientali, i diritti dei lavoratori, e un diritto di tassazione a livello mondiale.
Qual è il ruolo dello Stato?
Lo Stato dovrebbe fare il suo dovere, che è quello di agire e legiferare e, nelle democrazie, di fare politica nell’interesse dei cittadini, ma non è quello che stanno facendo, e questo è il problema, ed è pericoloso. In Europa e in Nord America, ma non solo, il nazionalismo, il fascismo, l’autoritarismo e il razzismo sono in aumento, ed è da qui che vengono. Non si tratta di populismo, ma di mancanza di rappresentazione, da molto tempo. I governi non agiscono nei confronti dell’operato delle grandi multinazionali, non perchè non possano, ma perchè hanno scelto di fare in questo modo e di non legiferare, né di fare nessuna domanda sul modo in cui operano le corporation. Quindi non si tratta solo di potere delle multinazionali, perché gli Stati hanno ancora il potere legislativo, se vogliono. E la domanda è: perchè non vogliono esercitare tale potere? Penso che la gente abbia il diritto di farsi questa domanda, perchè ci è stato detto così a lungo che i governi sono sempre più impotenti. Penso che dobbiamo crescere e smettere di credere a questa bella favola che ci è stata raccontata a partire dagli anni Ottanta.
Alla base di quello che è chiamato impropriamente "populismo" c'è una mancanza di rappresentazione. I partiti governano nell'interesse delle multinazionali
Qual è la responsabilità delle autorità pubbliche nel proteggere i diritti dei lavoratori?
Non si tratta solo di implementare nuove leggi e regolamenti, ma di applicare quelle esistenti. Penso che in molti casi le norme esistano ma che non siano applicate adeguatamente. Questo è certamente un problema negli Usa ed è un problema significativo in Australia. Recentemente il nostro governo ha abrogato alcune norme che stabilivano che se si lavora il weekend o oltre l’orario di lavoro si ha diritto a essere pagati di più, sostenendo che questa materia doveva essere lasciata ai mercati. Non sono d’accordo con questa decisione. Quando è stata presa, una delle risposte ciniche che sono state date dal governo è stata: «Ci sono molte persone che avrebbero diritto a questi pagamenti extra, ma non li percepiscono in ogni caso e molte volte le leggi sono applicate in maniera inappropriata, quindi che tu abbia o meno riconosciuto per legge questo diritto la situazione non cambia».
Cosa pensa del ruolo dell’attivismo dei consumatori?
Non è sufficiente. Ci sono limiti al successo che si può avere attraverso questo tipo di attivismo e alle sue possibilità di portare un cambiamento significativo, dal momento che, quando si vuole scegliere i prodotti di un’altra marca, la scelta è tra 2-3 prodotti o tra prodotti di poche, grandi corporation. Inoltre, molto spesso la gente ha sospetti che ci sia qualcosa che non funzioni nella catena di approvvigionamento della società, ma non ne è a conoscenza. Quando lo scopre, allora ci sono campagne dei consumatori, ma bisogna anche chiedersi se queste campagne producano dei cambiamenti desiderabili nella catena di approvvigionamento. Se per esempio, in conseguenza della loro azione, alcune fabbriche che facevano parte della filiera chiudono e il business si trasferisce altrove, il risultato della loro azione potrebbe essere quello che I lavoratori perdano il loro lavoro. Quindi penso che il loro operato debba essere supportato da governance e normative a livello globale e dei singoli Paesi.
Foto di apertura: John Mikler