Da tempo le Great Resignation sono argomento di dibattito per chi segue i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro. Ogni Paese fa storia a sé, ma il trend ha investito le principali economie. In Italia, nel primo semestre 2022, in oltre 300mila hanno dato le dimissioni, seguendo un fenomeno avviato negli Stati Uniti nel periodo post pandemico. Abbiamo intervistato Sara Callegari Human Resources, HSE, CSR & Procurement Director di ENGIE Italia, player di riferimento nel settore energetico. ENGIE conta nel mondo oltre 100.000 dipendenti, di cui 3.800 in Italia, impegnati nell’accelerare la transizione verso un mondo a zero emissioni di carbonio, un consumo energetico ridotto e soluzioni più rispettose dell’ambiente. Un’azienda, quindi, con competenze trasversali nel settore e un punto di vista privilegiato attivo su più mercati, dalle pubbliche amministrazioni, alle aziende fino alle famiglie, con la quale abbiamo affrontato i principali temi riguardanti il lavoro del futuro. Sostenibile, senz’altro, ma non soltanto dal punto di vista ambientale.

Ci può presentare l’attività di ENGIE?
«ENGIE in Italia è un player di riferimento nel mercato energetico con un milione di clienti e circa quattromila dipendenti. Ci occupiamo di energia a 360 gradi, con un’attività sull’intera filiera per servire diverse tipologie di clienti, dal B2C al comparto industriale fino alla pubblica amministrazione. Il nostro core business è l’efficienza energetica perché vogliamo essere leader nel processo di decarbonizzazione».
Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da grandi cambiamenti: come li avete affrontati, a partire dallo smart working?
«Possiamo dire di aver avuto un ruolo pionieristico a livello di smart working: il nostro primo accordo a riguardo risale al 2012. Allora avevamo stabilito la possibilità di lavorare da remoto un giorno a settimana, ma con l’inizio della pandemia da Covid-19 il lavoro da remoto è diventato – naturalmente – parte della nostra quotidianità. È stato infatti anche attraverso la nostra capacità di garantire una continuità operativa facendo ricorso allo smart working che abbiamo potuto garantire la sicurezza delle nostre persone. Ovviamente, in alcuni casi è stato particolarmente sfidante: basti pensare ai nostri tecnici operativi sul territorio – la metà della nostra forza lavoro – che hanno continuato a prestare servizio per l’intero periodo di lockdown. In particolare, abbiamo avuto 650 tecnici che, lavorando negli ospedali di cui ENGIE è partner, hanno contribuito con il loro operato a supportare chi era in prima linea nel contrasto dell’emergenza. Per loro abbiamo implementato misure e policy di sicurezza estremamente accurate, garantendo ad ogni momento una fornitura di DPI per lo svolgimento dell’attività lavorativa nelle migliori condizioni possibili.
Oggi continuiamo a mantenere la massima flessibilità, avendo ricevuto un riscontro positivo dai nostri collaboratori a fronte della nostra proposta di una formula di lavoro ibrido. Una survey interna ha comprovato quanto già immaginavamo, ovvero che la maggior parte delle persone preferisce l’ibrido al full remote. Questo perché, ne sono convinta, è davvero sentita la necessità di relazione e di momenti di confronto faccia a faccia, dei quali abbiamo sentito la mancanza in questi anni passati».
Quanto sono pronte le persone e le aziende al cambiamento in corso nel modo di lavorare?
«Il mondo del lavoro sta andando verso una maggiore flessibilità, le formule ibride, che prevedono un equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, sono sempre più adottate dalle aziende e apprezzate dai dipendenti. È una svolta positiva ed è diventato anche un fattore di competizione tra le aziende. Senza l’emergenza sanitaria l’affermarsi del lavoro da remoto avrebbe richiesto molto più tempo, ma fronteggiare una situazione come quella che abbiamo vissuto ha portato anche i più scettici a riconoscere il valore di una maggiore flessibilità».
L’ambizione del cosiddetto “posto fisso” ha sempre caratterizzato il mercato del lavoro. È ancora così?
«Oggi è evidente una maggiore attitudine delle persone al cambiamento, raccontata anche da percorsi professionali più discontinui, ricchi di spostamenti, con nuovi sbocchi. Inoltre, le persone cercano qualcosa di più: desiderano trovare un significato più profondo in quello che fanno, e se non lo trovano decidono di cambiare. Ora il mercato del lavoro è competitivo anche dal lato delle diverse policy e opportunità che gli employer possono attuare per rispondere a queste esigenze. Non ci si ferma più al mero aspetto retributivo, benché questo ricopra comunque una certa rilevanza».
Rispetto proprio allo stipendio: si può dire sia ancora l’elemento più attrattivo?
«Ci sono diverse variabili da considerare al di là degli aspetti retributivi. Occorre fornire risposte concrete alle persone, restando a contatto con le loro specifiche esigenze e richieste. In ENGIE, cerchiamo di farlo anche strutturando regolarmente survey e focus group, che ci aiutano a restare in linea con le aspettative dei collaboratori.
Per noi è fondamentale che vi sia una percezione positiva dell’ambiente di lavoro da parte dei nostri collaboratori: ci impegniamo affinché sia il più inclusivo possibile, creiamo opportunità formative basandoci sui desideri e sulle ambizioni dei dipendenti, adottiamo un’offerta ricca e variegata, accessibile a tutti».
E quali sono le figure più ricercate nel vostro settore?
«Nel nostro ambito sicuramente l’ingegneria – in particolare quella energetica – e le professionalità legate al mondo delle rinnovabili sono le figure più ricercate: vogliamo investire sul presente e sul futuro, ed è di questi talenti che abbiamo bisogno per farlo al meglio».
Quali sono invece gli obiettivi di ENGIE dal punto di vista dell’inclusione e delle pari opportunità?
«A livello Gruppo, ENGIE ha un obiettivo molto ambizioso: raggiungere il 50% di donne manager entro il 2030. In linea con questo target, in Italia già il 50% delle figure C-Level è composto da donne di talento. Ma non lavoriamo soltanto sulla parità di genere: gestiamo infatti quattro generazioni in azienda, dai senior ai junior, e implementiamo progetti che ne valorizzino i punti di forza, favorendone l’interazione in un ambiente lavorativo sempre dinamico e in crescita».
Diversità, in buona sostanza, come abilitatore di innovazione.
«Certo. Nel momento in cui ogni cosa rimane omologata, purtroppo, non può esserci innovazione. Persone che pensano in modo diverso, che hanno non solo età, ma anche percorsi, background e visioni differenti, garantiscono al contrario arricchimento, crescita, novità. Il cambiamento può avvenire solo attraverso la contaminazione».
Un’azienda sostenibile è davvero più attrattiva per un talento?
«La sostenibilità sarà sempre più importante e i giovani, torno a ripetere, cercano un significato più profondo nel proprio lavoro. Non basterà più avere un’occupazione qualsiasi: le nuove generazioni desiderano un lavoro in linea con i propri valori, le proprie visioni e aspettative. Ciascuno di noi può portare un contributo che accresca il valore collettivo e questo è fondamentale per il DNA aziendale».