«Il mobility manager non è una professione mitologica ma una figura che in tempo di pandemia diventa sempre più importante». La precisazione di Gianfranco Berté, mobility manager dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma e della Usl del capoluogo emiliano, rende bene la dimensione di una figura che nelle aziende è ormai diventata centrale. Soprattutto dopo la pandemia e l’uso massiccio dello smart working.
Il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile Enrico Giovannini e quello della Transizione ecologica Roberto Cingolani hanno firmato il decreto che rende operativa la norma – inclusa nel Decreto Rilancio – che prevede che le città sopra i 50mila abitanti e le imprese sopra i 100 addetti (e non più 300) si dotino di un mobility manager. Al mobility manager «spetterà capire come spalmare lo smart working lungo la settimana», ha detto Giovannini, cercando di «favorire il decongestionamento del traffico nelle aree urbane e distribuendo gli orari di lavoro e delle scuole», ha spiegato il ministro. Il pericolo è che si possano creare situazioni in cui tutti lavorano da remoto, ad esempio, «il venerdì, creando un intasamento negli altri giorni».
La nascita del mobility manager
La pandemia da Covid-19 ha ridato centralità a una figura già presente all’interno del mondo del lavoro. Il mobility manager nasce con il decreto Ronchi del 1998 per le aziende con più di 300 dipendenti e viene poi istituzionalizzato successivamente, soltanto nel 2000. «Adesso le cose sono radicalmente cambiate», spiega Angela Chiari, mobility manager del Comune di Parma.
Infatti, se nel 2016 i mobility manager erano 850 in tutta Italia, di cui l’88% di tipo aziendale, adesso sono destinati ad aumentare, vista l’obbligatorietà posta dalla norma. «C’è da notare che però, dalla sua istituzione all’ultima modifica, l’obiettivo del mobility manager è stato quello di ottimizzare costi e impatti della mobilità sul territorio, facendo attenzione all’efficienza e all’ambiente. Proprio in quest’ottica già quattro anni fa avevamo previsto di introdurre il telelavoro, che il Covid ha reso ormai mera quotidianità. Proprio a causa della pandemia le nostre funzioni sono state completamente ridisegnate», specifica Gianfranco Berté.
Al mobility manager spetterà capire come spalmare lo smart working lungo la settimana
Al lavoro in bici
Un progetto interessante del Comune di Parma si chiama “Bike to work” e punta a incentivare l’utilizzo della bici per compiere il tragitto casa-lavoro. I risultati del bando pubblicato agli inizi di aprile sono finora positivi. A disposizione delle aziende e dei dipendenti coinvolti ci sono quasi 148mila euro di incentivi per scoraggiare l’utilizzo di mezzi inquinanti e avvalersi delle due ruote.
All’iniziativa hanno aderito importanti realtà pubbliche come l’Ausl, ma anche aziende private come Barilla e persino un’istituzione come l’Automobile Club Italia. «La nostra adesione è un’adesione di sostanza, ci teniamo davvero a partecipare, anche se abbiamo appena 30 dipendenti. Le nostre preoccupazioni sono la mobilità e la sicurezza stradale e vorremmo che fossero assolutamente sostenibili», dichiara il mobility manager della sezione parmense di Automobile Club.
Ma come funziona Bike to work? «Il Comune tramite un’app valuta il mezzo utilizzato per gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti tramite un Gps che analizza la velocità del movimento: si possono ottenere fino a 20 centesimi al chilometro e nella misura massima di 50 euro mensili per ciascun dipendente. Il primo progetto non è andato benissimo ma erano mesi particolari, freddi, in cui spostarsi in maniera diversa era difficile. Eppure, noi, anche se con sole 14 aziende, ce l’abbiamo fatta e siamo stati gli unici insieme a Bologna ad andare avanti. Oggi siamo già sa più del doppio e se ne aggiungono di nuove ogni giorno. Un segnale eccellente, significa che c’è voglia di partecipare e voglia di un futuro diverso», dichiara Chiari.
L‘obiettivo è ridurre l’uso dell’auto privata per andare al lavoro e abbattere quindi le emissioni
Le funzioni del mobility manager
Quali sono oggi le funzioni di un mobility manager? «Chi svolge questo ruolo in un’azienda ha l’obbligo di redigere il piano di spostamento casa-lavoro, facendo in modo di ridurre l’uso dell’auto privata per i dipendenti dell’azienda per cui lavora. Il suo obiettivo è quindi ridurre le emissioni e diffondere la sostenibilità», spiega Chiari.
Nel far questo è importante soprattutto il dialogo con gli altri mobility manager dell’area metropolitana e con i rappresentanti delle istituzioni, che possono trarre interessanti conclusioni dal lavoro di queste figure aziendali. «Più idee e consigli si raccolgono su come migliorare la mobilità sul territorio più il decisore pubblico può migliorare le sue politiche sul tema. È grazie a lui se riusciamo ad avere sconti e agevolazioni per gli abbonamenti sui mezzi pubblici e benefit, come rastrelliere e parcheggi che riserviamo ai dipendenti che ne hanno necessità», sottolinea Berté.
La figura ha anche una sua importanza per le aziende, nonostante un ruolo non sempre di primo piano. Come evidenzia sempre Berté, mobility manager di una realtà pubblica che fattura 800 milioni l’anno, «questo ruolo non è fisso all’interno di un settore lavorativo. Eppure, ha la sua utilità perché permette di fare valutazioni su spese come il parco auto dell’azienda. Abbiamo 137 vetture che girano nella provincia e adesso, grazie ai Gps inseriti, possiamo valutare chilometri percorsi e decidere se cambiarle oppure no». Il mobility manager è anche colui che valuta eventuali soluzioni alternative. «Da mobility manager ho avuto anche l’occasione di interfacciarmi con sviluppatori di app di car sharing e car pooling, con i quali ho stretto accordi per poterle utilizzare gratuitamente in cambio di un numero elevato di dipendenti che vi partecipavano. Alla fine, è quello il segreto. Ciò che conta è raggiungere l’obiettivo», evidenzia Chiari.