Tra le aziende culturali colpite dalla pandemia da Covid-19, il 70% stima perdite del 40% del proprio bilancio, mentre per il 13% perdite superiori al 60%. Solo il 22% immagina un futuro ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività. Lo rileva il Rapporto 2020 di Federculture.
La crisi impone un cambio di passo, di prospettiva e di visione. Ne sono convinti Giacomo Poretti, noto al grande pubblico come parte attiva del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, oggi impegnato, oltre che come attore, anche come fondatore del Teatro Oscar di Milano, don Davide Milani che presiede la Fondazione Ente dello Spettacolo, e Andrée Ruth Shammah, direttrice del Teatro Franco Parenti.
Teatro, cinema ma non solo. Tutto è stato travolto dalla pandemia… O forse no. «Non tutto», spiega Andrée Ruth Shammah, «e soprattutto non dalla crisi del Covid-19». I teatri, risponde la direttrice del Franco Parenti, uno degli snodi chiave nella diffusione della cultura a Milano e in Lombardia, «si sono attrezzati in sicurezza, hanno maturato una competenza altissima nella gestione del rischio».
D'altronde, «non solo come attori, registi o amministratori noi lavoriamo con gli spazi, sugli spazi, negli spazi. Quando parliamo di distanziamento fisico sappiamo di cosa si tratta e conosciamo la posta in gioco perché non solo abbiamo le competenze pregresse, che ci vengono dal nostro lavoro, ma negli scorsi mesi abbiamo dimostrato di saperle mettere al servizio della comunità, del suo benessere e della sicurezza di tutti»·
Le professionalità del teatro sono parte di un tutto, e come parte dovranno sempre più integrarsi con altre realtà del territorio.
Proprio questo spirito di servizio può aprire uno spiraglio di luce per le professioni future, nell'ambito del teatro e della cultura in genere. «Il teatro», prosegue Andrée Ruth Shammah, «è innanzitutto una comunità. E in quanto tale, è una comunità educante che si mette e si è sempre messa a disposizione di altre comunità educanti, a partire dalla scuola. Il futuro è nell'interazione tra questi luoghi».
Non serve portare il teatro a scuola o la scuola a teatro, «ma serve far leva sul loro potenziale per metterlo al servizio comune. «Un potenziale che, proprio per le professionalità che si stanno creando nel nostro settore – ibrido di capacità organizzativa, manageriale e gestionale del rischio – possono portare un grande contributo agli altri luoghi di incontro e di confronto: la scuola e il teatro, ad esempio, dovranno essere sempre più interconnesse».
Le nuove professionalità dovranno lavorare per questa interconnessione, spiega ancora Shammah, «e questo aprirà spazio per nuove competenze e le nuove competenze genereranno nuovi lavori».
Tra le skills culturali di domani, Giacomo Poretti – cofondatore con Luca Doninelli e Gabriele Allevi del Teatro Oscar di Milano – intravvede la creatività artigiana. «Parliamo tanto di innovazione, ma questa innovazione spesso rimane sulla carta. Vorrei invece insistere sulla necessità di reinventare e reinventarsi. Innoviamo per reinventarci e ci reinventiamo per innovare. Noi, col teatro Oscar, avevamo aperto da poco quando… è scoppiata la pandemia. Ci siamo reinventati subito e… su una Apecar abbiamo creato il palco più piccolo al mondo girando per giardini e cortili».
L'industria della cultura deve imparare nuovi codici ed elaborare un nuovo linguaggio.
Se l'industria culturale sopravviverà, spiega Poretti, «sarà per questa capacità di coniugare l'abilità manageriale di cui parlava Andrée Ruth Shammah, con un sapere artigiano: quello che monta e smonta i palchi, li adatta all'occasione. Un sapere che a teatro abbiamo nelle cosiddette maestranze, ma che deve – e lo diventerà! – essere competenza comune».
Per il futuro, conclude Poretti, «dobbiamo imparare a sparigliare e mischiare i generi. Nel nostro caso significa questo: il teatro è chiuso, non si sa fino a quando. Ma nel frattempo, col nostro pubblico, abbiamo stretto un patto: useremo il digitale e cercheremo di elaborare un nuovo linguaggio – fatto di brevità e altre competenze specifiche e adeguate al mezzo – e un palinsesto. Una cosa che ricorda molto la TV e, a molti, non piace: ma dobbiamo ibridare i linguaggi, in attesa di tornare a quella presenza fisica che nel nostro mondo è necessaria».
La cultura, conclude Poretti, «ha idee da dare e risorse da portare alla società». Anche don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, ha le idee chiare: «per uscire da questa situazione, oltre a un piano sanitario, servono connessioni, serve rete, serve senso».
La cultura è ciò che ci fa alzare il mattino e ci fa capire perché facciamo quello che facciamo. Non è solo divertimento: è vita, lavoro, intrapresa sociale.
La cultura – e il cinema, in questo caso – è parte di questa rete. Non ha senso chiudere d'imperio le attività culturali. Le attività, le imprese, l'industria culturale sono, oggi, risorse cruciali per attraversare questa pandemia. Nella prima ondata, conclude il presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, «ce la siamo cavata, culturalmente parlando, perché abbiamo scoperto risorse che pensavamo di non avere più: la solidarietà, il coraggio, il far appello l'un l'altro. Ma abbiamo visto che questo volontarismo non basta. Serve un investimento strategico sulla cultura. La cultura è ciò che ci fa alzare il mattino e ci fa capire perché facciamo quello che facciamo. Non è divertimento, è vita, lavoro, intrapresa sociale». La cultura ha idee da dare e risorse da portare alla società, «non sprechiamole».