Motivazione, iniziativa, acquisizione di competenze. Creatività e forte senso di comunità. Sono questi i punti di forza innescati dal gioco. Cosa accadrebbe, si chiedeva alcuni anni fa Jane McGonigall, tra le più conosciute game designer al mondo, se applicassimo il potenziale dei giochi alla vita reale? Se usassimo quello che sappiamo sulla loro progettazione (design) per sistemare ciò che non va nella realtà?
Il game designer è una professione in crescita. Tecnicamente è la figura professionale che si occupa delle regole e della struttura nell'ambito dello sviluppo di un gioco. Il suo ruolo, in termini qualitativi, è sempre più cruciale. Lo è per le ragioni indicate da McGonigall e perché gli schemi di gioco vengono usati in settori che, oramai, prescindono dal mero divertimento: istruzione, addestramento militare, apprendimento professionale, pianificazione urbana. È il fenomeno della cosiddetta gamification sociale, dove i game designer possono "giocare" – letteralmente – un ruolo importante al fianco di ingegneri, urbanisti e progettisti urbani.
Le persone che sanno come negoziare le reti di intelligenza collettiva, progettando giochi, saranno in una buona posizione per contribuire allo sviluppo del business globale
Il game designer associa le competenze del data analyst, del grafico, del programmatore, talvolta del giornalista ma anche quelle dell’artista-innovatore. Inoltre, la sua è per sua vocazione una professione internazionalizzata: codici e bit superano "naturalmente" le barriere linguistiche. Per questo il mercato del lavoro degli sviluppatori di giochi è in crescita. Ma ciò che spinge molti giovani a cercare lavoro nel settore è, prima di tutto, la passione. Da giocatore a game designer il passaggio è breve, se alla passione unisci le compentenze. Ma la passione non si spegne mai, forse questo è uno dei pochi casi dove gioco e lavoro si fondono a meraviglia.
La figura più richiesta è, oggi, quella con competenze di programmazione nel linguaggio C++, di animazione user expericence e user interface, ma cresce rapidamente la domanda di esperti di realtà virtuale e aumentata e di game artist.
Dall’ultimo censimento sui game developer, realizzato nel 2016 da un gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano, scopriamo che circa la metà degli studi di sviluppo e progettazione di giochi ha una struttura costituita da uno a cinque collaboratori stabili, mentre il 42% degli studi di sviluppo di videogiochi ha invece più di cinque addetti. Ma è in crescita il fenomeno della cosiddetta one-man company, società unipersonali create da sviluppatori e progettisti che si consorziano su singoli progetti. Nel settore la fludità è totale.
Il livello di istruzione più diffuso tra i game designer è la licenza media superiore (40%), ma oltre un terzo degli addetti ha conseguito un master, un dottorato o è in possesso di un diploma di laurea magistrale (34%). Nella maggior parte dei casi le competenze sono quindi acquisite attraverso la pratica professionale.
Sono però in aumento università e accademie – almeno dieci in Italia, pubbliche e private – che puntano a fornire un livello di istruzione orientato allo sviluppo di videogiochi.
Chi lavora nel settore dei giochi ha futuro. Cifre e trend lo confermano. L'industria del gaming è più grande di quella della musica e del cinema messi insieme. Tocca miliardi di vite a livello globale. Sul mercato americano, nel 2017 ha registrato un fatturato di 211 miliardi. In Italia, secondo l’ultimo rapporto AESVI, l'associazione che rappresenta il settore, il giro d'affari è stato di 1,5 miliardi di euro.
Il software registra un fatturato di oltre 1 miliardo di euro (1.049 milioni di euro) con un peso del 71% sul totale mercato nel 2017. Mentre il cosiddetto software fisico, ovvero i videogiochi per console e per PC nel tradizionale formato pacchettizzato, conosce una crescita del 7% rispetto al 2016, con un fatturato di oltre 370 milioni di euro. Sul fronte digitale, invece, il giro d'affari sviluppato dal segmento delle app è pari a 385 milioni di euro mentre il digital download su console e PC registra un fatturato di 294 milioni di euro.
Il gioco ti dà uno scopo. Il vero gioco è trovare uno scopo
Il mercato è destinato a esplodere, visto il numero crescente di giocatori. Il 57% della popolazione di età compresa tra i 16 e i 64 anni, corrispondente a circa 17 milioni di persone, ha giocato ai videogiochi negli ultimi 12 mesi. Di questi, il 59% sono uomini e il 41% donne. Guardando invece al profilo dei consumatori per fasce di età, si nota una concentrazione significativa di donne (13%) nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni.
Per il genere maschile, invece, si nota una maggiore distribuzione di giocatori nelle fasce d'età 25-34 (15%), 35-44 (13%) e 45-54 anni (12%). Per quanto riguarda le piattaforme di gioco, i dispositivi mobile come smartphone e tablet in Italia vanno per la maggiore essendo utilizzati dal 52% dei videogiocatori. Seguono le console home dal 48% e i PC dal 46%.
La game economy attraversa una fase di passaggi cruciale. La sfida? Formare nuovi game designer capaci di coniugare competenze tecniche e umanistiche. Soprattutto nel settore dell'intrattenimento ibrido, ovvero dell'istruzione, il gaming sta facendo passi da gigante con lo sviluppo della ludodidattica 4.0. Cogliere opportunità e crearne è la sfida. Perché, come dice il game designer Vineet Raj Kapoor: «il gioco ti dà uno scopo. Ma il vero gioco è trovare lo scopo».