Intelligente, connessa, comoda, sicura, condivisa e chi più ne ha più ne metta per descrivere quella che sarà (e in parte già è) l’auto del futuro. Non un semplice veicolo per spostarsi da un punto A a un punto B con qualche accessorio per ingannare il tempo d’attesa in coda, ma un’estensione delle proprie abitudini fisico-digitali al pari dello smartphone che portiamo in tasca o del pc su cui lavoriamo alla scrivania. Il tutto con un occhio di riguardo all’ambiente e al rispetto delle norme sempre più stringenti sulle emissioni di CO2. Sono queste le sfide che aspettano l’industria automotive mondiale e ne trainano l’innovazione. D’altronde, per realizzare un’automobile all’avanguardia, prima di tutto sono i processi produttivi che devono tracciare la rotta. Da qui al 2030, secondo un’analisi dello studio americano Oliver Wyman, Future Automotive Industry Structure – Fast 2030, sono sette i fenomeni che rivoluzioneranno lo scenario: i veicoli connessi, quelli a guida autonoma, gli elettrici, la distribuzione pay-per-use, l’interfaccia uomo-macchina, il cambiamento delle abitudini di guida (e possesso) della clientela e l’industria digitale. Per dare una risposta a tutto questo, molte case automobilistiche sono partite dalle basi: le fabbriche.
In Italia, il settore automotive e la sua filiera rappresentano un aggregato ad alta innovazione e in crescita. A tracciarne i confini ci ha pensato l’ultimo Osservatorio sulla componentistica italiana stilato dalla Camera di commercio di Torino assieme ad Aniafa (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) e Cami (Center for Automotive and Mobility Innovation dell’Università Ca’ Foscari di Venezia): 2.190 aziende, 156mila dipendenti, 46,5 miliardi di euro di fatturato (di cui il 40% realizzato dalle aziende piemontesi). A brillare è il dato relativo all’export della componentistica: +6% rispetto al 2016 a quota 21 miliardi di euro e un saldo commerciale per i primi sei mesi del 2018 a 3,8 miliardi di euro (con ordinativi in aumento del +5,6%).
In Italia, il settore automotive e la sua filiera rappresentano un aggregato ad alta innovazione e in crescita. Aziende come Magneti Marelli e Lamborghini si distinguono per il know how di ultima generazione.
Non a caso, aziende come Magneti Marelli fanno gola al di là del valore di mercato. Al loro interno contengono un know-how di ultima generazione. Un bene che, nel caso dell’azienda lombarda venduta dalla nuova Fca dell’ad Mike Manley alla giapponese Calsonic Kansei, vale 6,2 miliardi di euro. A interessare, in questo caso particolare, sono i sistemi di illuminazione assieme alla produzione di sensori. Elementi essenziali, quest’ultimi, per lo sviluppo di auto a guida autonoma e che ora andranno ad accelerare l’innovazione made in Japan. Il Paese del Sol Levante è il secondo produttore domestico di auto al mondo con 8 milioni di veicoli sfornati ogni anno. Prima e dopo vengo, rispettivamente, la Cina (con 25 milioni di automobili prodotte) e la Germania (a quota 5,6 milioni). Per quanto riguarda il nostro Paese, si segnalano 41 stabilimenti produttivi che pesano per un terzo delle vetture circolanti in Europa e un quinto di quelle nel mondo (nonostante un lieve calo dell’1,7% fatto registrare nel 2017).
Fra questi centri delle quattro ruote a spiccare sono, senza dubbio, quelli del segmento luxury: Ferrari, Dallara, Maserati, Lamborghini. E proprio Lamborghini, acquisita da Audi nel 1998, rappresenta uno dei connubi meglio riusciti fra innovazione, motori ed eccellenza del made in Italy. Anche quando si parla dell’universo fabbrica. Entrare nello stabilimento di Sant’Agata Bolognese, inaugurato nel 2017, significa fare un passo in avanti sulla direttrice dei processi di produzione innovativi: carrelli autonomi, robot, palmari per registrare le varie fasi di lavorazione e un software (il Mes) che monitora ogni minimo spostamento grazie a un reticolo di sensori e relais. «Le istituzioni ci hanno dato una mano. Per noi la realizzazione di questo stabilimento è stata un simbolo: anche in Italia, quando si fa sistema, si possono portare a casa realizzazioni molto complicate facendo meglio degli altri», ha commentato Ranieri Niccoli, chief manufacturing officer.
Un processo innovativo in cui si è impegnato tutto il sistema produttivo italiano. A partire dal governo che, già nel 2016, ha presentato il progetto per l’Industria 4.0. L’obiettivo era quello di mobilitare (nel 2017) investimenti privati aggiuntivi per 10 miliardi, 11,3 miliardi di spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione, più 2,6 miliardi di euro per gli investimenti privati early stage. Strumenti necessari per rilanciare l'impresa nazionale. Sopratutto quella automotive che più di altre aveva bisogno di un’accelerazione per continuare la propria strada al volante dell'innovazione.