Aziende zombie. Così, in un paper uscito a dicembre 2017, l’Ocse ha ribattezzato le aziende che sopravvivono nonostante tutto, quelle che dovrebbero essere fallite o profondamente ristrutturate, mentre invece continuano placidamente a operare come se niente fosse, nonostante produttività, investimenti e margini ai minimi termini. Non sono solo una curiosità economica: secondo l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, infatti, la crescita delle aziende zombie è una delle cause principali del crollo di produttività in Europa negli ultimi vent’anni: la loro fame di capitali, necessari alla sopravvivenza, ha drenato fondi che sarebbero dovuti andare alle nuove realtà imprenditoriali o alle imprese più dinamiche, o anche solo agli ammortizzatori sociali per permettere a quelle imprese di morire in pace senza particolari patemi.
In Italia le aziende zombie sono il 4% sul totale, impiegano il 5% degli addetti complessivi, ma drenano quasi il 20% del capitale.
Se a sentir parlare di aziende zombie vi viene in mente una nota compagnia aerea di bandiera o un altrettanto nota banca del centro Italia non siete sulla strada sbagliata, ma probabilmente avete una percezione errata del problema. Infatti, l’Italia è il secondo Paese europeo per capitale detenuto dalle aziende zombie, preceduta dalla Grecia e seguita dalla Spagna. In Italia le aziende zombie sono il 4% sul totale, impiegano il 5% degli addetti complessivi, ma drenano quasi il 20% del capitale. Non solo, siamo anche il Paese che dal 2007 al 2013 ha visto crescere maggiormente il capitale allocato in queste realtà. In una fase di crollo degli investimenti e di stretta creditizia, praticamente un record.
Uccidere le imprese zombie potrebbe essere la chiave per far crescere la produttività e aumentare la competitività dei sistemi produttivi.
Quanto tutto questo vada a detrimento della ripresa italiana è confermato da due ulteriori indicatori: riportare le aziende zombie a un livello fisiologico, pari a Francia e Germania, porterebbe a una crescita degli investimenti nelle aziende che zombie non sono di 2,5 punti percentuali e un aumento della produttività totale dei fattori di 1,2 punti.
Per dirla con le parole dell’Economist, in un articolo uscito in tempi non sospetti – qualche mese prima dell’indagine dell’OCSE – uccidere le imprese zombie potrebbe essere la chiave per far crescere, finalmente, la produttività e aumentare la competitività dei sistemi produttivi, quello italiano in primis.
Per paradossale che sia, quindi, anziché incentivi alle assunzioni e continui salvataggi aziendali, servirebbe un piano ben progettato per abbattere le barriere del fallimento, lasciando andare per la propria strada chi non ce la fa, per riallocare capitali e forza lavoro e costruire un sistema economico più efficiente e competitivo. L’Italia dovrebbe, perciò, lavorare su questi aspetti e riuscire a far fronte agli ostacoli – come resistenze sindacali, istituzionali e altro – che rallentano o impediscono la ristrutturazione delle imprese.