«Lo sviluppo della tecnologia potrebbe ridurre del 30% il numero dei lavori in banca entro i prossimi cinque anni», è stata la previsione rilasciata da Vikram Pandit, ex-ceo di Citigroup, ai microfoni di Bloomberg. Estendendo un po’ l’orizzonte temporale, si tratterebbe di una perdita di 770mila posti di lavoro negli Usa e circa un milione in Europa entro il 2025. Dopo la crisi economica e finanziaria del 2008-11, sarà l’innovazione a scatenare il prossimo terremoto nel settore bancario. Automazione, digitalizzazione, utilizzo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale saranno i driver di un cambiamento che potrebbe mettere fine all’immagine del bancario con gli occhiali intento a contare soldi e riempire moduli seduto dietro alla vetrata dello sportello. «Nella nostra banca abbiamo persone che fanno lavori da robot. Presto avremmo anche robot che faranno lavori da umani. E non importa se noi come banche parteciperemo o meno a questi cambiamenti. Stanno già accadendo», ha sentenziato John Cryan, chief executive di Deutsche Bank, in un'intervista al Financial Times. Tanto che proprio l’istituto di credito tedesco negli ultimi tre anni ha già tagliato quattromila dipendenti su 97mila totali.
D’altronde, con l’avvento delle banche online e la possibilità di consultare il proprio conto corrente via app e pagare un bollettino con pochi semplici click, la banca – intesa come luogo fisico – ha perso progressivamente centralità nella vita delle persone. Secondo l’ultimo report CheBanca!, pubblicato a novembre 2017, Il 24% dei correntisti non si è mai recato in una filiale negli ultimi tre anni; mentre sui 29 milioni di italiani che si collegano alla Rete ogni mese, sono stati 18,4 milioni quelli che hanno verificato il proprio conto online (per una media di tre accessi al mese). Numeri che parlano chiaro: per recuperare o fidelizzare i propri clienti, le banche devono aprirsi alla digitalizzazione. L’“Uber moment”, come lo ha definito Antony Jenkins, ex-chief executive di Barclays, è sempre più vicino. Ossia, presto arriverà sul mercato una tecnologia così disruptive da mettere in serio pericolo un settore consolidato con player tradizionali. La stessa cosa che è successa ai tassisti con lo sbarco della società fondata da Travis Kalanick. Ma quali potrebbero essere queste innovazioni?
«Nella nostra banca abbiamo persone che fanno lavori da robot. Presto avremmo anche robot che faranno lavori da umani. E non importa se noi come banche parteciperemo o meno a questi cambiamenti. Stanno già accadendo»
Basta fare un salto in Svezia per capirlo. Qui, l’istituto finanziario Seb ha assunto Aida, chatbot per implementare la comunicazione digitale con i clienti. La Nordea Bank, invece, ha introdotto il sistema Nova, assistente virtuale in grado di consigliare i clienti sui possibili investimenti o aiutarli ad aprire un conto. Infine, Swed Bank mette a disposizione dei propri correntisti il supporto di Nina, altro chatbot potenziato con un algoritmo in grado di trovare la migliore soluzione finanziaria adattata alle esigenze del cliente. Negli Stati Uniti, invece, la banca online Atom Bank è già un passo avanti: ci vogliono solo tre secondi per richiedere un mutuo, i cui parametri vengono calcolati e tagliati su misura del cliente da un'intelligenza artificiale.
La stessa tecnologia che viene utilizzata anche per razionalizzare l’organizzazione interna e i costi di gestione degli istituti di credito a partire dalla selezione del personale. Goldman Sachs, Morgan Stanley, Usb e altri hanno già introdotto algoritmi capaci di analizzare a fondo i curricula, scegliere i migliori candidati e testarli durante un colloquio. Un servizio in cui si sono specializzati Hirevue e Korn. La prima realizza sistemi per videointerviste in cui a condurre la conversazione, dall’altra parte del monitor, è una Intelligenza Artificiale; la seconda parte dall’analisi dei dati dei clienti per trovare l’algoritmo giusto capace di selezionare il miglior bancario possibile.
In Italia, Intesa San Paolo ha da poco delineato le proprie strategie nel settore tecnologico: 2,8 miliardi di investimenti entro il 2021 per la trasformazione digitale e 1 miliardo per l’aggiornamento del personale con cui si conta di raggiungere i 6 miliardi di utile netto alla fine dei prossimi tre anni (circa il doppio della cifra fatta registrare nel 2017). A seguire l’intero processo sarà una nuova figura manageriale pensata per il caso: il chief IT, digital & innovation officer. Investimenti simili sono attesa anche da Ubi Banca che dopo aver investito 90 milioni negli ultimi tre anni è pronta a sborsarne altri 20 nel corso del 2018 con l’obiettivo di digitalizzare circa 700 delle proprie 1.800 filiali. In generale, comunque, da noi l’86% degli istituti sta già elaborando una strategia digitale e il 78% la sta sviluppando (dati Ftc Technologies), mentre entro il 2020 si eseguiranno attraverso i canali digitali circa il 70% delle transazioni e il 55% delle vendite (dati Kpmg).
Investimenti e progetti che preparano le banche allo scontro con giganti digitali come Amazon, Facebook, Google, Apple sempre più interessati ad accaparrarsi i servizi fintech. Qui, oltre ai soldi dei risparmiatori, sono in gioco anche i loro dati. E se prima, da questo punto di vista, le banche sembravano fortini inespugnabili, qualcosa potrebbe presto cambiare a seguito dell’introduzione di alcune normative europee. La prima è il Gdpr (General Data Protection Regulation) che costringerà gli istituti bancari a una maggiore tutela dei dati sensibili dei propri clienti secondo metodi trasparenti e omogenei. La seconda normativa è il PsD2 che apre alla condivisione di questi stessi dati con terze parti attraverso i sistemi di pagamento. Il tutto mentre un’altra tecnologia, la blockchain (su cui si basano tutte le cripto valute), si sta facendo sempre più spazio come strumento decentrato di garanzia delle transizioni.
Che fine farà la banca tradizionale? Cambierà seguendo alcuni trend già in atto. Innanzitutto, l’omnicanalità. Un concetto molto diffuso nel mondo retail e che per il sistema bancario si traduce in Atm attivi 24 ore su 24, servizi online, videoconferenze e un insieme di servizi senza soluzione di continuità fra virtuale e fisico con lo scopo di fidelizzare sempre di più il proprio cliente. In secondo luogo, cambieranno anche le filiali: non più diffuse capillarmente sul territorio, ma concentrate in un unico hub multibrand capace di spalmare i costi infrastrutturali su più player. A questa riorganizzazione deve seguire un aumento dell’offerta mobile, device utilizzato da oltre il 30% della popolazione bancaria. Infine dati e biometria, due aspetti della stessa medaglia, quella della sicurezza che potrà essere garantita da sistemi di lettura dell’iride o dell’impronta digitale contro il rischio hacker. Un processo che, sperano i banchieri, porterà gli istituti di credito a recuperare la propria reputazione e affidabilità per cui, però, molto spesso vale molto di più una stretta di mano che una striscia di codice.