Confrontarsi con persone che hanno competenze completamente diverse dalle tue, lasciare i figli nel co-baby, pranzare con gente nuova ogni giorno. È questa la vita dei co-workers, i professionisti – imprenditori, freelance o dipendenti – che si trovano a lavorare negli uffici condivisi. Difficile dire quanti appartengano a questo esercito di lavoratori smart, senza cartellino da timbrare, con orari spesso flessibili, ma secondo il Global Co-working Survey sarebbero circa 1.180.000 nel mondo in 13.800 spazi. Londra e Berlino, le capitali dei co-working in Europa, ma anche l’Italia vanta un numero di tutto rispetto: oltre 400 spazi e la cifra sembra destinata ad aumentare perché questo modello piace. Lo dimostra il fatto che il tasso di crescita ha registrato un costante +50% annuale dal 2010 a oggi. Prezzo medio di una scrivania: tra i 200 e i 300 euro al mese.
“Qui si arriva per fare business e tessere relazioni”, spiega Marco Nannini, amministratore delegato di Impact Hub Milano che, nato nel 2010, è stato il primo co-working in città e tra i primissimi in Italia, e lo scorso autunno ha aperto un nuovo gigantesco spazio: 200 postazioni, tra open space e uffici privati e un giardino verdissimo. “Se sei un freelance o uno startupper e stai avviando un’impresa, l’ultima cosa di cui hai bisogno è perdere tempo occupandoti della pulizia e del wifi, in questo modo, ad un prezzo contenuto, hai un ufficio, con tanto di sala riunioni e receptionist. Affittare una scrivania qui fa risparmiare tempo, soldi ed energie e ti permette di conoscere moltissime persone.” Per tanti, il valore più prezioso di uno spazio condiviso è proprio questo: la rete, e Impact Hub, con i suoi 102 spazi in 97 Paesi vanta migliaia di membri in giro per il mondo. A legare i freelance, gli startupper e le realtà imprenditoriali che siedono alle scrivanie di questo brand, sono l’attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale e all’impatto positivo. “Anche se fanno cose diverse, i nostri coworkers hanno una sensibilità comune, possono confrontarsi con altri e in qualche modo combattere la solitudine di chi non lavora in una grande azienda, per i freelance poi, la community è anche un bacino di potenziali clienti a cui attingere.”
Se sei un freelance o uno startupper e stai avviando un’impresa, l’ultima cosa di cui hai bisogno è perdere tempo occupandoti di pulizia e wifi. Così, e prezzo contenuto, hai un ufficio con sala riunioni e receptionist.
Una rete globale che intercetta la tendenza crescente dei “lavoratori nomadi”, ossia di coloro che vivono tra città, Paesi e, a volte, addirittura continenti diversi. “Tra le nostre sedi abbiamo delle convenzioni, per cui se un nostro membro si trova a Londra per incontrare degli investitori, può fare una riunione in uno degli Impact Hub della città a tariffe scontate. La dimensione del lavoro per molti è sempre più internazionale e sapere di avere un ufficio che ti può accogliere ovunque vai è una sicurezza in più”.
Risponde a questa esigenza anche Talent Garden (TAG), il primo spazio inaugurato a Brescia nel 2011 che ha innescato una sorta di effetto domino: oggi i co-working sono 18, in 6 Paesi europei ed è stata anche inaugurata una scuola di formazione in ambito digitale (TAG Innovation School). “Tutto è nato dall’idea di un gruppo di amici alla ricerca di uno spazio di lavoro da condividere per entrare in connessione e contaminarsi a vicenda. Abbiamo così deciso di aprire uno spazio di coworking dove persone con la stessa passione per l’innovazione e per il digitale potessero lavorare e incontrarsi ogni giorno.” Spiega Davide Dattoli, co-founder e CEO di TAG. “Chi viene da noi è alla ricerca di un luogo che offra non solo la possibilità di lavorare, ma anche di incontrare professionalità simili con le quali scambiare idee ed esperienze e collaborare su vari progetti.” La velocissima crescita di TAG, secondo Dattoli è dovuta anche alla possibilità di mettere i co-worker in contatto con le grandi aziende: “Offriamo tante attività ed eventi, contribuendo quindi alla contaminazione dei nostri talenti con big corporate e player istituzionali.”
La crisi ha costretto sempre più persone a riorientarsi, cercando soluzioni più economiche e in grado di ottimizzare le risorse. Il co-working risponde proprio a queste necessità.
A Torino, TAG, insieme a Fondazione Agnelli, ha appena aperto un nuovo Campus, così vengono chiamati gli spazi del network, perché, più che uffici, sembrano vere e proprie città universitarie: basti pensare che il più grande co-working del nostro continente è in via Calabiana a Milano. Uno spazio di oltre 8.500 metri quadri dove oltre alla scrivania si può accedere a un servizio di babysitter a chiamata, sperimentare la stampa 3D nel Fab Lab del seminterrato e addirittura organizzare incontri a bordo piscina sulla terrazza dell’ultimo piano.
Eppure gli uffici condivisi non stanno conquistando solo le aree urbane, come racconta Giorgio Baracco, di Espresso Co-working, la conferenza che riunisce ogni anno le realtà italiane ed europee. “Oggi il concetto di co-working è diventato mainstream, qualsiasi amministrazione comunale sa di che cosa si tratti e questo modello si sta diffondendo anche nelle città più piccole e nelle aree rurali, anche al Sud.” Lo conferma il fatto che il prossimo evento sarà organizzata a Racale, un paesino di 11mila abitanti nel cuore del Salento. “La crisi ha costretto sempre più persone a riorientarsi, cercando soluzioni più economiche e in grado di ottimizzare le risorse. Il co-working risponde proprio a queste necessità e ad un bisogno di flessibilità che, in modi diversi si è diffuso un un po' ovunque nel Paese.” A dimostrarlo anche la diffusione del modello di Impact Hub che, oltre alla dimensione globale, ne ha anche una molto più locale nel nostro Paese: dopo Milano, ne sono nati altri sette. “Da noi arrivano soprattutto persone che hanno deciso di tornare a casa, dopo anni di studio o lavoro in una grande metropoli. Hanno visto o provato questo modello e lo scelgono, una volta ritornati qui,” spiega Paolo Campagnano socio fondatore di Impact Hub Trento. “Nelle città più piccole di solito la qualità della vita è alta, le case sono più grandi e molti professionisti hanno l’ufficio in casa. In questi contesti non bisogna offrire solo lo spazio, ma anche altro, per questo il nostro co-working punta ad avere un impatto positivo su tutta la comunità. Organizziamo eventi aperti a tutti, cinema, feste, fiere di street food. Alla base però c’è sempre questo: la costruzione di una comunità attorno ad uno spazio. Il futuro del lavoro è collaborativo, la chiave sono le relazioni.”