Manuela Appendino è un’ingegnera del cuore, nel senso più letterale del termine. Lavora negli ospedali del Piemonte e della Valle d’Aosta per supportare le attività tecniche che riguardano l’utilizzo di dispositivi medici utilizzati nelle sale operatorie cardiologiche. Ne monitora la qualità, l’efficacia e la funzionalità. «Il mio lavoro – spiega – è quello tipico della ingegnera biomedica che lavora sul campo, cioè nelle corsie ospedaliere, luoghi in cui i dispositivi medici stanno diventando sempre più indispensabili per fare le diagnosi sui pazienti, per curarli, riabilitarli e supportarli alla vita». Per rendersene conto basta pensare alla crescente diffusione di protesi, pacemaker e valvole cardiache artificiali; o al massiccio impiego di strumenti di diagnostica per immagini come TAC, PET e risonanza magnetica; o di quelli dedicati alla telemedicina.

Come ingegnera biomedica, la sua formazione comprende, oltre alle competenze ingegneristiche tradizionali, anche quelle di anatomia, biologia, fisiologia, patologia. Inoltre, per approfondire l’impatto della tecnologia biomedicale sulla vita e sulla salute dei pazienti, dopo la laurea al Politecnico di Torino, Appendino ha frequentato un master biennale in bioetica, trovandosi con medici, infermieri e insegnanti a riflettere su temi come aborto, eutanasia, fine vita e casi clinici complessi.
I progetti di empowerment femminile
Da sempre sensibile alle questioni di genere, Appendino si è accorta presto che «in Italia le iscritte ad ingegneria biomedica rappresentano il 50% delle matricole, ma la loro presenza diminuisce drasticamente quando si tratta di raggiungere posizioni apicali e di responsabilità».
Anche se in Italia, differentemente dall’estero, quella dell’ingegnere biomedico è una professione recente (riconosciuta una ventina di anni fa, tramite il D.P.R. 5 giugno 2001), «il tetto di cristallo – racconta – è ostinatamente granitico e poco permeabile all’ingresso di figure femminili».
Oggi lei ha 39 anni e lavora con una partita IVA. In passato, delusa e scottata da una sgradevole esperienza professionale, aveva promesso a se stessa che se fosse riuscita a recuperare per vie legali gli stipendi mai corrisposti dalla precedente azienda, avrebbe dedicato una parte della sua vita a «sostenere altre donne, le loro capacità e competenze, nel mondo ingegneristico come nella vita quotidiana».
E così è stato. Promessa mantenuta.
Nel settembre 2016, con una collega biomedica, Gianna Nigro, Manuela Appendino ha fondato, WeWomEngineers, una community dedicata alle ingegnere biomediche, con l’obiettivo di raccontare la professione e di creare una rete sinergica con colleghe e colleghi. La community, spiega, «nasce per dare una voce tecnica e collettiva al mondo STEM, nasce per portare alla luce difficoltà e opportunità. Nasce per far rinascere. Nasce per ricominciarsi come giovani sognatrici e giovani donne felici del proprio successo professionale».

WeWomEngineers ha diversi significati: «WE (noi) + WOM (word of mouth, cioè passaparola) + ENGINEERS. Per noi significa “passaparola tra ingegneri” ma anche WOMEN + ENGINEERS “donne ingegnere” per un gioco di parole».
La community è alimentata e sostenuta da una ventina di esperte, con competenze eterogenee. «Questa multidisciplinarietà è il nostro punto di forza e ci permette di offrire alle nostre interlocutrici contenuti, servizi e webinar nel campo dell’ingegneria biomedica, ma anche in quello della comunicazione healthcare, del digital marketing e della gestione dei canali social».
Una mano tesa per le più giovani
Una fetta importante dell’attività della community è dedicata al supporto delle ingegnere appena laureate. «Le giovani professioniste che ci contattato faticano ad approcciarsi al mondo del lavoro per trovare un primo impiego e, spesso, scontato il fatto di essere donne all’interno di aziende con una forte presenza maschile». Le esperte di WeWomEngineers, allora, rispondono alle richieste di orientamento sia universitario che lavorativo, offrono consigli sulla tipologia di aziende presenti in Italia, forniscono consigli sulla preparazione per l’esame di stato o sulla stesura del CV.
Comunque, puntualizza Appendino, «quello che spesso manca alle giovani non è la preparazione, ma la fiducia in se stesse. Molte faticano ad esprimere il proprio valore, oppure a chiedere una promozione. Perciò tramite WeWomEngineers le aiutiamo ad acquisire una maggiore consapevolezza».
Oltre gli stereotipi
Un altro dei obiettivi del progetto riguarda le pari opportunità «intese come eque possibilità di raggiungere il proprio sogno lavorativo e perseguire una carriera nell’ambito scientifico ingegneristico». WeWomENgineers ha partecipato e organizzato numerosi eventi in questa direzione e fa parte del network nazionale di InclusioneDonna, un progetto nazionale nato e voluto dalle fondatrici Sila Mochi e Carolina Gianardi, le quali perseguono con grande coraggio gli obiettivi rappresentativi di 65 associazioni nazionali femminili per raggiungere la pari rappresentanza politica e lavorativa.

«Il mondo degli ingegneri possiede ancora oggi degli stereotipi così radicati che vedono nel “maschio” il professionista d’eccellenza e certamente il periodo di isolamento vissuto per il Coronavirus non ha agevolato le donne nel mantenimento di un equilibrio professione/famiglia», sottolinea l’ingegnera.
Le azioni proposte sono dirette, in collaborazione con l’attuale Ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, sulla parità di genere nel mondo del lavoro ma anche sull’attuazione concreta di azioni che supportino le donne non solo dipendenti ma anche freelance, titolari di partita IVA, imprenditrici di piccole/medie realtà.
WeWomEngineers è anche Role Model del Progetto Internazionale Inspiringirls promosso da ValoreD per aumentare la consapevolezza nelle ragazze dei propri talenti ed eliminare il più possibile gli stereotipi di genere che limitano ambizioni e obiettivi, e collabora attivamente con altre associazioni STEM italiane incluso il network internazionale delle WIE IEEE (Women In Engineering IEEE).