Oltre l’emergenza, lo smart working si appresta a diventare la risposta strutturale alla seconda ondata di Covid-19. Da necessità a business model sempre più diffuso. Soprattutto fra le grandi società che devono gestire sedi e dipendenti sparsi in tutta Italia. Come evidenziano i dati Istat, qui il fenomeno è più marcato: in piena pandemia il 31,4% dei lavoratori ha potuto lavorare da casa e il 25,1% lo sta ancora facendo.
Nelle pmi le stesse percentuali scendono al 21,6% e al 16,2%. I settori più coinvolti sono l’informazione, l’istruzione, le attività professionali e i servizi. Ne sono un esempio Fincantieri (che, da azienda manifatturiera, ha messo 500 dipendenti in smart working su 4.500), Tim (che ha rifornito tutti i dipendenti in smart working di pc portatile ed ha previsto un contributo pari al 30% sul costo della connessione in fibra) oppure Unicredit (che nei contratti individuali non richiede più l’obbligo di trovarsi nel proprio domicilio o in un hub aziendale, basterà trovarsi sul territorio nazionale). Per tutti l’esigenza è quella di conciliare sicurezza, efficienza e innovazione. Con ricadute su business model, proprietà immobiliari e costi di gestione.
Ne sa qualcosa Mars Italia, famosa per la distribuzione dei dolciumi omonimi e da più parti citata come l’antesignana dello smart working nel nostro Paese. Attivo da ormai dieci anni, questo metodo organizzativo fa parte della cultura aziendale; tanto che in Mars Italia non ci sono dipendenti, ma associati. Già dal 2009 sono stati eliminati sistemi di timbratura ed è stato introdotto l’orario flessibile. Gli associati sono dotati di laptop e iPhone e l’azienda paga connessione e traffico dati. In questo modo non cambia nulla se si lavora a casa o in ufficio.
Il tema dell’ufficio ha interessato (e non poco) l’azienda di consulenza PwC, da poco trasferitasi nella torre di CityLife a Milano, è passata da 1.200 a 20 dipendenti in ufficio nella terza settimana di aprile. E per tenere tutti connessi, l’azienda ha incrementato gli strumenti di collaborazione virtuale e l’infrastruttura tecnologica al fine di tenere il passo di oltre 4-4.300 di accessi simultanei alla VPN aziendale.
In Italia si è aperto il tavolo tra governo e parti sociali per rivedere la legge 81 del 2017 con un protocollo di regole valide per tutti. Nel frattempo le aziende si sono mosse in autonomia
Per quanto riguarda il settore alimentare, l’esempio nobile è quello di Barilla, che già 2013 aveva firmato un protocollo sperimentale con i dipendenti che concedeva un giorno di smart working a settimana a circa mille impiegati. Ora la pratica si estende su tutta la settimana. Da Amazon Italia, invece, la scelta di quando andare in ufficio sta ai dipendenti. Nel caso decidessero di farlo, però, dovranno ricordarsi di registrarsi per evitare che i locali superino una capienza del 30%. Limitazioni simili sono in atto anche da Pirelli e Luxottica, che hanno dimezzato i lavoratori in presenza e propongono ai dipendenti il tampone prima del rientro.
Per quanto riguarda Eni, lo smart working è diventato permanente. Attualmente soltanto il 15% dei dipendenti è ritornato in sede su un totale di 15mila impiegati. L’obiettivo è arrivare al massimo al 65%, lasciando in remoto le risorse disponibili. Soluzione simile anche per Enel che ha 14.800 dipendenti in smart working (quasi la metà dei circa 30mila totali) da differenziarsi in modalità prolungata (per chi svolge attività in remoto e solo saltuariamente deve recarsi in sede o dai clienti) o alternata (con cadenza bi-settimanale, settimanale o infrasettimanale).
Le aziende italiane si sono mosse in autonomia, secondo le migliori best practice e le disposizioni di legge che hanno esteso l’accordo semplificato fino a fine gennaio 2021 (data di scadenza dello stato d’emergenza).
Dalla Spagna alla Francia alla Germania, si stanno discutendo nuove leggi per regolare il lavoro da remoto.
Nel frattempo, in Europa è cominciata la discussione sul diritto alla disconnessione. Ossia, la possibilità di “staccare” e ridefinire i confini fra vita professionale e privata dietro uno schermo. Attualmente, infatti, sono gli accordi individuali quelli che si stanno facendo più strada nel mercato del lavoro. Ma non mancano tentativi di ridisegnare la legge in tutta Europa.
In Italia si è aperto il tavolo tra governo e parti sociali per rivedere la legge 81 del 2017 con un protocollo di regole valide per tutti, che comprenda anche il diritto alla disconnessione e la fornitura degli strumenti digitali. E in Parlamento è stata depositata una proposta di legge a firma Cinque Stelle.
In Spagna, per esempio, il trabajo a distancia è appena stata normato: non si applica ai lavoratori sporadici (chi realizza il proprio lavoro nel 30% della propria giornata in un periodo di tre mesi), si tratta di un regime sempre volontario (sia per il datore di lavoro che per il dipendente), è reversibile in qualunque momento. In Francia, invece, l’argomento teletravail si è subito legato all’impennata dei casi. Un sondaggio Odoxa pubblicato da France Info ha mostrato una certa ritrosia dei francesi al ritorno allo smart working come misura per contrastare la pandemia. A inizio ottobre, solo uno su sette lo utilizzava. Mentre nello stesso periodo il 26% dei contagi avveniva sul luogo di lavoro.
Infine, in Germania si sta pensando di introdurre una legislazione che renda lo smart working obbligatorio. D’altronde, secondo gli ultimi dati del ministero del Lavoro tedesco, il 40% dei lavoratori apprezzerebbe l’idea di poter lavorare da casa ogni tanto. Ma solo il 12% dei datori di lavoro può garantirlo. Da qui l’idea di una legge che preveda un minimo di 24 giorni di lavoro agile per i settori e le mansioni che lo permettono.