Libri che si impilano sul comodino. Liste di serie tv e film che intasano la categoria “guarda più tardi”. Mostre, concerti, esposizioni che si susseguono sulle agende. Tante cose da leggere, vedere, visitare. E mai abbastanza tempo per farlo. Magari perché ci si blocca davanti al pc in modalità binge watching, oppure si finisce per scrollare il social media di riferimento o si finisce, indolenti, a chiudersi in casa piuttosto che uscire.
La nostra content diet è spesso un manifesto dell’accontentarsi. Un fenomeno che è emerso in tutta la sua forza durante il lockdown quando il “nuovo tempo libero” pieno di grandi propositi si è trasformato in una processione autocompiacente dei soliti piccoli piaceri che ci inseguono al ritmo di continue notifiche. Ma come uscire da questo ingorgo di continui input e diversificare i nostri consumi media-culturali?
Una risposta, sotto forma di un documentario dal titolo “Bookstores: How to Read More Books in the Golden Age of Content”, aveva provato già a darla nel 2019 il regista americano Max Joseph. L’idea nasce da una necessità personale. Da sempre attratto da libri e librerie, a un certo punto Joseph si trova sommerso dall’ansia: «Come riuscirò a leggere tutti questi libri? Quando troverò il tempo?».
Come per una dieta classica, anche per quella mediatica l’obiettivo è mettere in atto un circolo virtuoso fatto di abitudini che da imposizioni rigorose divengono naturali modalità di consumo
Una sensazione aggravata dalla consapevolezza che lavoro, email, messaggi, social network, piattaforme di streaming digitale, canali all news e migliaia di altri contenuti disponibili richiedono attenzione e tempo. Minuti che si trasformano in ore e tolgono spazio ad altri tipi di consumo; come i libri, appunto. Per recuperare, Joseph ha proposto un’analisi in quattro punti che dai libri può estendersi ad altri tipi di supporti e contenuti.
Primo: mettere in prospettiva la propria dieta mediatica e contare quanto tempo si spende nel consumarne i prodotti.
Secondo: decidere quale consumo mediatico si può diminuire per liberare tempo da dedicare a un altro tipo di attività.
Terzo: capire come razionalizzare (o velocizzare) la gestione di alcuni tipi di contenuti che non richiedono la nostra totale attenzione.
Quarto: andare al fondo della propria passione, metterla al centro della propria ricerca e vedere come tutto il resto si ricompone intorno. Il risultato? Una passione ritrovata.
In generale, come per una dieta classica (fatta di prodotti ipocalorici, verdure e movimento), anche per quella mediatica l’obiettivo è mettere in atto un circolo virtuoso fatto di abitudini che da imposizioni rigorose divengono naturali modalità di consumo. Una questione di impegno e concentrazione, insomma.
Prendiamo il caso dei social network via smartphone. Come riuscire a liberarsi dal loro fascino? Innanzitutto delimitando il perimetro del nostro interesse decidendo di mantenere sullo schermo del nostro cellulare quelli che ci danno maggiore soddisfazione e liberarsi di tutte le app che abbiamo scaricato ma non utilizziamo mai. Smettere di postare in real-time (a meno che non siate Chiara Ferragni). Non intaccare i momenti di intima socialità come il pranzo o la cena con l’ennesimo scroll. Costruire una rete di contatti social che siano uno stimolo positivo per ulteriori tipi di consumi mediatici (come libri, film, album musicali, attività sportive, ecc.). Infine, pianificare un soggiorno in un luogo wifi free e vedere l’effetto che fa.