Per chi la legge per la prima volta, Kurzarbeit è solo una parola tedesca difficile da pronunciare. Ma è naturale che non si tratti solo di questo. Letteralmente, Kurzarbeit significa “lavoro breve”.
Si tratta del programma tedesco attraverso il quale i lavoratori possono ridurre drasticamente le proprie ore di lavoro a parità di salario. È lo Stato che provvede a pagare la maggior parte del loro stipendio. L’obiettivo è di consentire alle aziende di preservare posti di lavoro, rendendo più facile a se stesse e all’economia la ripresa. Una sorta di cassa integrazione, come la conosciamo in Italia, ma con requisiti specifici.
Si tratta però di una soluzione temporanea, che vale perciò per un periodo di tempo limitato, e può riguardare tutti o una parte dei lavoratori di un’azienda in difficoltà. A fronte di una prestazione di lavoro a tempo parziale, i dipendenti accettano la perdita di una quota di reddito, finanziato dallo Stato. Invece di licenziare, in questo modo l’azienda può mantenere i propri dipendenti già formati e conservare il know-how aziendale. Oltre ai salari ridotti o parzialmente ridotti, il dipendente riceve un’indennità dall’Agenzia federale per l’impiego.
Tra i requisiti richiesti dalla legge tedesca per chiedere l’accesso al Kurzarbeit , l’azienda deve trovarsi in difficoltà economiche o affrontare un evento imprevedibile e temporaneo. Il datore di lavoro non può ordinare unilateralmente il Kurzarbeit, ma può fare ricorso a questo strumento soltanto se questo è stato concordato in un contratto collettivo, in un accordo aziendale o in un contratto individuale di lavoro.
Tra i requisiti richiesti dalla legge tedesca per chiedere l’accesso al Kurzarbeit , l’azienda deve trovarsi in difficoltà economiche o affrontare un evento imprevedibile e temporaneo
Il Kurzarbeit esiste da circa un secolo, ma in Germania è stato utilizzato in maniera sostanziale durante la crisi economica del 2008, quando oltre 1,5 milioni di lavoratori ne avevano usufruito. Secondo gli economisti, è stato grazie a questo strumento che il Paese è riuscito a uscire dalla recessione in maniera piuttosto veloce, evitando peraltro una disoccupazione che altrimenti avrebbe registrato livelli doppi.
Durante l’emergenza del Covid-19, la Germania ha esteso ulteriormente questo strumento fino a fine 2020, facendo sì che anche quelle aziende dove il 10% (prima il requisito era il 30%) dei lavoratori utilizza orari ridotti possano ricevere la copertura. A partire dal quarto mese, l’indennità salirà al 70% (77% con l’assegno per i figli) e dal settimo mese, all’80% (87% con l’assegno per i figli). Lo Stato tedesco ha anche reso disponibili questi strumenti di integrazione del reddito ai lavoratori a termine, aumentando le coperture.
Secondo l’Agenzia federale dell’impiego a fine aprile avevano fatto richiesta di Kurzarbeit 10,1 milioni di lavoratori in Germania. Un numero senza precedenti: il record negativo era stato di 1,44 milioni di persone nel maggio 2009, all’apice della crisi finanziaria.
Secondo l’Agenzia federale dell’impiego a fine aprile avevano fatto richiesta di Kurzarbeit 10,1 milioni di lavoratori in Germania. Un numero senza precedenti: il record negativo era stato di 1,44 milioni di persone nel maggio 2009, all’apice della crisi finanziaria
Oggi, sono molti i Paesi europei che guardano alla Germania, varando programmi di integrazione al reddito e di preservazione dei posti di lavoro nella direzione del Kurzarbeit. La Danimarca, ad esempio, ha stretto un accordo con i sindacati e le associazioni dei lavoratori per coprire il 75% dei salari, fino a 3.100 euro per tre mesi coperti dallo Stato. Nel Regno Unito, il Coronavirus Job Retention Scheme copre fino all’80% degli stipendi dei lavoratori in congedo fino a fine giugno. Sono 67mila i lavoratori che hanno fatto domanda online nella prima mezz’ora dal lancio del programma.
Ma uno dei lati deboli dei programmi di sussidio dei lavoratori è il fatto che salva anche lavori che probabilmente sarebbero andati persi anche senza il coronavirus. Per questo, un rapporto l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha fatto presente che i governi dovrebbero evitare di sovvenzionare lavori che sono “impraticabili nel lungo periodo”. Mentre il Fondo Monetario Internazionale ha raccomandato che tutti questi programmi debbano presentare dei “meccanismi di uscita chiari”.
Con l’avvio del dibattito sulla graduale riapertura dei Paesi, discussioni simili avverranno sulla durata dei piani di protezione dei salari e dei sussidi ai lavoratori. Posto che così tanti Paesi hanno dato vita a programmi di protezione emergenziale, sarà da valutare se questi rimarranno parte integrante dei mercati del lavoro nazionali. Secondo gli esperti, molto dipenderà dalle risorse: posto che si tratta di programmi costosi per i Paesi, alla fine non tutti potranno permetterseli. E dopo aver difeso i posti di lavoro, come ha scritto l’Economist, serviranno politiche pubbliche in grado di crearne di nuovi.