Un punto percentuale di disoccupati in meno, inattivi stabili e circa 200mila occupati in più, con un aumento di contratti a tempo indeterminato che però registrano anche una forte flessione negli ultimi mesi.
È la fotografia di un anno di decreto dignità, la misura voluta dall’ex ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, che nell’estate del 2018 ha varato la stretta sui rinnovi dei contratti a termine con l’obiettivo di stabilizzare centinaia di migliaia di lavoratori.
Da quel momento, infatti, sono state modificate le parti del Jobs Act (il cosiddetto decreto Poletti) relative ai contratti a tempo determinato, imponendone a 12 mesi la durata massima senza causale, estendibile solo in alcuni casi specifici. Se poi il contratto supera i 24 mesi, diventa automaticamente a tempo indeterminato (il precedente limite era a 36 mesi). Al contempo, il numero massimo di proroghe si è abbassato da 5 a 4.
Il decreto dignità, dopo un periodo transitorio, è entrato a pieno regime proprio a partire da novembre di un anno fa. Vediamo dunque nel dettaglio il bilancio della nuova legge e i risultati che ha prodotto.
Il decreto dignità ha applicato una stretta sui contratti a termine, modificando il Jobs Act
Partiamo dagli occupati. Nel terzo trimestre del 2018 il tasso di occupazione era del 58,9%. Dopo un primo calo a fine anno, nel 2019 è risalito fino al picco del 59,4 (secondo trimestre) per poi arrivare al 59,2% dell’ultima rilevazione. Tradotto in numero di occupati, parliamo di 23,42 milioni di persone, al fronte dei 23,21 di un anno fa. Una variazione dello 0,9% che è però interessante analizzare a seconda del tipo di lavoro.
Più che per aumentare l’occupazione, il decreto dignità si poneva infatti lo scopo di renderla meno precaria. In questo senso, nei suoi primi 13 mesi si può dire che la legge ha provocato qualche miglioria, senza però causare lo shock sperato.
In un anno i dipendendenti sono cresciuti (+231mila) e in particolare sono aumentati i contratti a tempo indeterminato (+181mila, da 14,82 milioni a 15), con un calo degli autonomi (-15mila). Questo però sembra frutto della spinta iniziale del decreto, tanto che nelle ultime settimane la tendenza è invertita.
Solo nell’ultimo mese gli indipendenti sono infatti cresciuti di 38mila unità, proprio come sono aumentati i lavoratori a termine (+6mila), con lo stallo dei tempi indeterminati. A settembre, i contratti a termine erano cresciuti addirittura di 30mila unità, mentre quelli stabili erano in discesa (-18mila) rispetto ad agosto, con un andamento differente soltanto per gli autonomi (-44mila). Nel complesso, i lavoratori a termine sono aumentati di circa 60mila unità nell’arco dei 13 mesi del decreto.
Una simile analisi è possibile sul dato della disoccupazione. Globalmente, nel periodo in esame la percentuale di disoccupati è scesa dal 10,7 al 9,7% (-0,2% nell’ultimo mese rilevato), con un calo pressoché stabile nel corso del 2019. Un buon miglioramento lo si ha nella fascia tra i 15 e i 24 anni – la cosiddetta disoccupazione giovanile – dove si è passati dal 32,7% al 27,8%, con un calo che sfiora il 5%. Non ancora sufficiente, certo, ma se il trend restasse costante potrebbe finalmente riportare su percentuali dignitose un problema che l’Italia si trascina da parecchio. Più contenuto è invece il miglioramento nella fascia immediatamente successiva, ovvero quella dai 25 ai 34 anni, cruciale perché comprende gran parte di chi ha appena concluso gli studi universitari. In questo caso nel periodo di applicazione del decreto dignità si ha avuto un miglioramento del 2%, con un calo dal 16,2% di disoccupati al 14,2% registrato a ottobre. Unendo insieme le prima due fasce d’età – dunque tra i 15 e i 34 anni – si ha una diminuzione del tasso di disoccupazione dal 20,2% al 17,5%.
Nell’ultimo anno gli occupati sono aumentati di circa 200mila unità, passando dal 58,9% al 59,2
Infine, da tenere d’occhio il dato sugli inattivi. Complessivamente, le persone che non hanno un lavoro e non lo cercano sono rimaste stabili negli ultimi 13 mesi, con una percentuale che galleggia sempre al di sopra del 34%. Parliamo di più di 26 milioni di persone che nell’ultime mese sono aumentate di 25mila unità e che registrano dati preoccupanti soprattutto tra i più giovani, se si pensa che tra i 15 e i 24 anni si è passati dai 4,31 milioni di ottobre 2018 ai 4,35 di un mese fa. A questo riguardo, oltre al decreto dignità il precedente governo aveva molto puntato sul reddito di cittadinanza, intendendolo non solo come una misura assistenziale ma come una politica attiva per creare lavoro. Partita a rilento, la seconda fase del reddito – quella, appunto, che dovrebbe trovare un lavoro a chi non ce l’ha – sarà dunque attesa dalla prova delle prossime rilevazioni.
Ma tornando al decreto dignità, va sottolineato come a influenzarne gli effetti siano stati anche alcuni contratti in deroga sempre più applicati dalle aziende. In accordo coi sindacati, infatti, molte imprese hanno scelto di superare i vincoli – ritenuti troppo stringenti – sui contratti a termine siglando contratti di prossimità che hanno validità per l’azienda o per il singolo territorio in cui sono applicati. Ciò è consentito dalla manovra bis del 2011 del governo Berlusconi, secondo cui questi contratti possono operare “anche in deroga alle disposizioni di legge e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.
Qualche esempio? A Limana (Belluno) la Epta (refrigerazione commerciale), in accordo con Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm ha trovato un sistema per non rinunciare ai 147 dipendenti in scadenza tra il 31 marzo 2019 e il 30 aprile 2020. Stando alle nuove norme, l’azienda aveva dichiarto di non poter confermare i dipendenti, ma il lavoro coi sindacati ha permesso di trovare un accordo per la proroga fino a 24 mesi senza causali dei contratti a tempo determinato, con un percorso di inserimento progressivo a tempo indeterminato dei lavoratori con contratto a termine. Al contempo, l’azienda si è impegnata a trasformare a tempo indeterminato tutti i contratti al raggiungimento dei 24 mesi, elevando ad almeno 1.000 unità il numero di indeterminati.
Un accordo simile è stato raggiungo in Philip Morris, dove ad aprile a Roma si è redatto un contratto di prossimità che prevede l’incremento della durata massima complessiva dei rapporti a tempo determinato (fino a 36 mesi), contingentando a 600 il numero massimo di contratti a termine e garantendo fino a cinque proroghe, anziché 4, degli stessi contratti.