Un futuro fatto di acqua, aria e terra. I tre elementi con cui lavora l'architettura green. Ne sono protagonisti alcuni degli studi più importanti e celebri al mondo, accomunati da un'idea di fondo: l'architettura che pensa il futuro è inclusiva, verde, improntata alla biodiversità.

Vincent Callebaut architectures: ripensare la città verde
Lo studio di Parigi guidato dall'architetto belga Vincent Callebaut ha progettato e realizzato una serie di edifici eco-efficienti dal punto di vista ambientale, che integrano il verde e le risorse rinnovabili. Renewable energies, biodiversity e urban agriculture sono i punti forti di questo studio che punta a trasformare il concetto di bioedilizia con progetti di rara eleganza che sembrano tratti da saghe fantasy.
Abbiamo bisogno di città che promuovano una simbiosi tra l'uomo e l'ambiente
Nel 2015, il suo progetto "Paris Smart City 2050" per rendere la Ville Lumière una città integralmente verde ha fatto scalpore e gli è valso grande notorietà. «Sono nato nel 1977 a La Louvière, in Belgio, una delle regioni più povere del Nord Europa che è stata duramente colpita dalla crisi industriale. Faccio parte di una generazione impregnata di insetticidi, asfissiata dallo smog urbano e piena di rifiuti plastici che infettano la nostra catena alimentare», spiega.
Nel 2050, prosegue Callebaut, «avrò 73 anni, la popolazione mondiale sarà di 9 miliardi di persone, prima di raggiungere il picco di 12 miliardi annunciato per il 2100. Tuttavia, tutte le statistiche e le pubblicazioni scientifiche concordano oggi sul fatto che il 70% della popolazione mondiale vivrà domani in città just-in-time, città che sono già responsabili del 70% delle emissioni di gas serra e concentrano livelli sempre più elevati di disuguaglianza sociale». Il più ambizioso progetto dell'architetto green nasce da questa considerazione: ecologia e sociale si fondono. O si alleano, e si riparte insieme, o tutto cade.

Le città del XXI secolo saranno in grado di affrontare la sfida della transizione energetica e sociale? Per Vincent Callebaut e il suo team bisopgna improntare le azioni a nuove forme. I loro progetti immaginano città fertili e creative, spettacolari e fantascientifiche. Le facciate dei palazzi si trasformano continuamente, sono mutanti e intelligenti, rigenerative e organiche: respirano anidride carbonica e rilasciano ossigeno.
Il giardino non è più una parte dell'edificio: è l'edificio stesso. L'architettura, spiega, «diventa coltivabile, commestibile«. Tutti i rifiuti vengono riciclati, creando una nuova economia circolare. «Trasformare le nostre città in ecosistemi, i nostri quartieri in foreste e i nostri edifici in alberi abitati: questo è il nostro credo!».

Stefano Boeri: ecologia verticale
Inaugurato a Milano nel 2014, il Bosco Verticale di Stefano Boeri è stato il primo edificio di questo tipo al mondo e, non a caso, ha vinto l’International Highrise Award 2014, scelto tra 800 grattacieli. Oggi, è uno degli edifici più importanti e conosciuti dell'architettura sostenibile.
Un complesso residenziale che unisce riforestazione metropolitana e, spiega il suo progettista, «contribuisce alla rigenerazione dell’ambiente e alla biodiversità urbana senza espandere la città sul territorio».
Il modello è quello della densificazione verticale della natura all’interno della città, «gli habitat biologici del Bosco Verticale aumentano la biodiversità, aiutando a generare un ecosistema urbano. I diversi tipi di vegetazione creano infatti un ambiente verticale che può anche essere colonizzato da uccelli e insetti, trasformando il Bosco Verticale in un simbolo della ricolonizzazione spontanea della città da parte di piante e animali».
Ho una passione e un’ossessione per gli alberi. Li penso come degli individui
La realizzazione di un certo numero di Boschi Verticali in città di grandi dimensioni, spiega ancora Boeri, «potrà dare vita a una rete di corridoi ambientali, che animeranno l’ecosistema dei principali parchi urbani, collegando i diversi spazi di crescita della vegetazione spontanea». Partito dal capoluogo lombardo, Boeri, che è anche Presidente della Triennale di Milano, ha portato il "verde verticale" nel mondo costruendo boschi verticali e, infine, progettando intere foreste cittadine e tra la Cina e le Americhe.
La cifra stilistica di Boeri è lui stesso a spiegarla: «Ho una passione e un’ossessione per gli alberi. Li penso come degli individui e ho sempre cercato di capire se si poteva immaginare un’architettura che vedesse gli alberi non come ornamento ma come elemento costitutivo».

Zaha Hadid Architects: l'etica delle forme
Zaha Hadid Architects (ZHA) è tra gli studi più acclamati al mondo con i suoi 950 progetti realizzati in 44 Paesi e i suoi 400 associati, tra manager e architetti.
La fondatrice, da cui prende il nome, è scomparsa nel 2016. Nata a Baghdad il 31 ottobre del 1956, Zaha Hadid ha innovato profondamente il linguaggio dell'architettura. Hadid è stata definita «l'architetto che ci ha insegnato ad amare le curve», per la sua passione per le forme sinuose e nel 2004 è stata la prima donna a ricevere uno dei premi più prestigiosi nel mondo dell'architettura, il Pritzker Prize.
Tra le sue opere più note, il London Aquatics Centre (2007–2012), a Londra, CityLife Milano Residential Complex (2004–2014), a Milano, la Stazione di Napoli Afragola (2003–2017) in Italia e la Torre Hadid (2014–2017), ancora a Milano.
La sostenibilità è la sfida che definisce la nostra generazione
L’architettura, insegnava Hadid, «si ispira al paesaggio, alla biologia e a tutti gli esseri viventi. Oggi si può essere più ambiziosi: si possono fare grandi esperienze spaziali, ma una cosa che non è cambiata è che abbiamo a che fare con la gravità. Stiamo con i piedi per terra». Per questo Hadid insegnava che «il design è una seconda natura», quasi una seconda pelle, che deve infondere piacere e muoversi con fluidità. Ma la cifra del suo lavoro è l'ecocompatibilità intesa in senso ampio, espressivo e al contempo formale.
Oggi, lo studio che porta il suo nome è tra i più attivi nella progettazione di strutture eco-compatibili e green. Una delle ultime è il campus di ricerca per l'istituzione no-profit KAPSARC a Riyadh, in Arabia Saudita.
Convertire i rifiuti da un sottoprodotto a qualcosa che può essere il cuore del futuro della società sarà fondamentale per il futuro
ll complesso comprende cinque edifici in 70mila metri quadrati complessivi: l'Energy Knowledge Centre; l'Energy Computer Centre, un centro conferenze con un auditorium da 300 posti, una biblioteca pronta per ospitare oltre 100mila volumi e il Musalla, lo spazio pensato per la preghiera.
Questo è il primo progetto di ZHA ad ottenere la certificazione LEED Platinum da parte dell'US Green Building Council: il centro è stato infatti progettato per ridurre al minimo il consumo di energia e di risorse tenendo conto delle condizioni climatiche di Ryad.

Carlo Ratti: il design che cambia i comportamenti
Possiamo nutrire le città con la natura? Sì, possiamo. Lo dimostra il lavoro di Carlo Ratti, una tra le archistar più green e importanti del momento, che dirige il Senseable City Lab al MIT di Boston. La maggior parte delle prime urbanizzazioni occidentali, osserva Ratti , «era caratterizzata da modelli di sviluppo che si scontravano con la natura».
Oggi, il divario fra urbano e rurale si sta assottigliando, forse persino chiudendo. Una nuova sensibilità emerge e l'architettura di Ratti punta a coglierne le sfide. «Stiamo assistendo a un boom dell'agricoltura urbana, poiché i progressi delle tecniche di coltivazione idroponica e aeroponica facilitano la coltivazione di ortaggi in spazi ristretti. Mentre le città non sostituiranno mai le aree rurali come principale fonte di nutrizione al mondo, una percentuale maggiore di cibo può essere coltivata nelle aree urbane».
Il rapporto fra ambiente e vita è, in questa prospettiva, un rapporto sempre più stretto fra città e mondo. Fra architettura e spazio sociale.
Con Ratti l'architettura incontra il design high-tech e le tecnologie avanzate. L’architettura e il design, spiega, «possono agire in due modi. Innanzitutto contribuendo a ripensare i processi. Ci siamo cimentati con questi approccio ad esempio con Feel the Peel, partendo dalla domanda: che cosa fare per riutilizzare le bucce delle arance dopo averle spremute? L’idea: trasformarle in bioplastica, con stampare in 3D bicchieri in cui bere la spremuta stessa. Ma c’è un altro aspetto in cui design può avere ruolo chiave: aiutare le persone a comprendere meglio e cambiare i propri comportamenti quotidiani».
In questo incontro tra domanda di comprensione e risposta in termini di arricchimento di conoscenza, l'archistar si trasforma definitivamente in… archigreen.