Cosa significa smart manufacturing? Come si crea una cultura data driven? E ancora come la digital transformation modifica i processi e i prodotti all’interno di una grande azienda? Per rispondere a queste domande più che cercare nella teoria, conviene mettere la lente su un player mondiale come Pirelli. Qualche dato finanziario per comprendere le dimensioni del colosso con sede nel quartiere milanese della Bicocca: il gruppo ha chiuso il 2017 con ricavi per 5.352,3 milioni di euro, in crescita del 7,6% sullo stesso periodo dello scorso anno (+7,9% la crescita organica) e con un utile netto delle attività in funzionamento balzato del 60,5% a 263,4 milioni. In forte calo l'indebitamento finanziario netto, che è sceso a 3.218,5 milioni dai 4.912,8 milioni del 2016.
Inizialmente abbiamo fatto tanti errori, il primo dei quali è stato quello di accumulare un’enorme quantità di dati a cui, però, non riuscivamo a dare valore.
La produzione annuale è di circa 70 milioni di copertoni l’anno, quasi tutti nelle fasce di mercato più alte: prestige e premium. «Ogni gomma implica il buon esito di un centinaio di processi, per un totale di 100mila dati informativi», spiega Richard Allbert, Head of Smart Manufacturing, sezione attiva dal 2016 che riporta alla funzione Pirelli Digital dove oggi lavorano circa 500 persone. «Come si può facilmente immaginare, i rischi di variabilità all’interno di un processo così complesso generano costi che vanno ridotti al minimo», spiega Allbert. Ed è qui che va giocata la carta della digital transformation. Ma perché risulti vincente «occorre considerare entrambi i poli della trasformazione digitale, cosa che abbiamo iniziato a fare negli ultimi due anni».
«Inizialmente qui in Pirelli abbiamo fatto tanti errori», ammette il manager inglese, «il primo dei quali è stato quello di accumulare un’enorme quantità di dati a cui, però, non riuscivamo a dare valore». Che aggiunge: «Il digitale da solo non basta, ci vuole anche la trasformazione che crei valore aggiunto per l’azienda: se però si vuole innescare questo processo occorre creatività». D’accordo, ma questo salto di paradigma cosa ha significato in ambito Pirelli? «Per noi ha voluto dire», spiega Allbert, «entrare nelle fabbriche e formare persone che sapessero trattare i dati in real time in modo da creare applicazioni capaci di rendere più efficiente il lavoro nello stabilimento». Fino ad oggi il centro di competenza dello Smart Manifacturing ha formato 200 persone. In questo modo sono nate in house 70 applicazioni «tutte sviluppate all’interno delle fabbriche».

Un'altra importante sponda del restyling digitale di Pirelli è stata la creazione, sempre nel 2016, del Data science and analytics transformation team guidato da Monica Gargantini, un gruppo di 18 persone trasversale alle varie divisione che si occupa di «creare opportunità per migliorare le performance dei colleghi attraverso i nuovi tools tecnologici». «Ci ispiriamo ai principi del manifesto Agile», interviene Gargantini, «e lavoriamo con lo sguardo costantemente rivolto alla domanda: ovvero alle necessità dei nostri clienti». Il transformation team è stata anche la porta di ingresso in azienda di professionalità nuove, meno legate ai tradizionali, per Pirelli, curricula ingegneristici. «Abbiamo inserito», conferma la manager, «statistici, economisti, fisici e informatici».
Ci ispiriamo ai principi del manifesto Agile, lavorando con lo sguardo costantemente rivolto alla domanda: ovvero alle necessità dei nostri clienti.
L’ostacolo maggiore per questo tipo di innovazione? Giriamo la domanda a Luigi Staccoli, Executive vice president Pirelli Digital. «Senza dubbio», risponde, «cambiare l’approccio di lavoro di un’azienda con 145 anni di storia: la tecnologia c’è, si impara ad usarla e come ha spiegato Allbert si impara anche a produrla in casa, più difficile è cambiare le teste delle persone. Chi lavora in Pirelli deve passare dal chiedersi “qual è la cosa migliore per Pirelli” a interrogarsi su “qual è la cosa migliore per il cliente». «Sono convinto che in futuro», conclude Staccoli, «si venderanno sempre meno pneumatici e sempre più servizi legati all’esperienza e all’utilizzo delle gomme: la tecnologia e i nuovi profili professionali che acquisiremo in futuro devono essere funzionali a questa logica». Tradotto: l’innovazione più che la tecnologia la determinano le persone.