Era un futuro scritto nei geni quello di Larry Page, enfant prodige della Silicon Valley, fondatore e CEO di Google. Figlio di un professore di informatica all’Università del Michigan e di un’insegnante di programmazione, un’infanzia trascorsa tra i processori e i primi pesantissimi computer degli anni Settanta, Larry Page ai genitori non deve però solo un fortunatissimo Dna, ma anche una propensione alla creatività nutrita da scelte educative molto lungimiranti: dalle scuole montessoriane, alle visite delle prime convention tecnologiche, fino ad una quotidiana, precocissima esposizione ai computer. «A casa nostra c’era sempre un’enorme confusione con computer, fili e riviste di tecnologie sparse ovunque», ha raccontato Page. «Mi ricordo di aver trascorso moltissimo tempo a leggere». E poi la passione per la musica. «I miei mi mandarono a lezione di sassofono. Credo che questo mi abbia influenzato tantissimo. Se ci pensi dal punto di vista musicale, il tempo è la cosa primaria e credo che la mia fissazione per la rapidità a Google si debba proprio alla mia formazione musicale».
Da piccolissimo inizia a lavorare al computer, è il primo della scuola a portare in classe un compito fatto con un PC e, nel frattempo, il fratello più grande gli insegna a scomporre gli oggetti che trova in casa. «Smontavo tutto quello che mi passava per le mani perché volevo vedere come funzionava», ha raccontato. «Capii molto presto che volevo inventare delle cose». A 12 anni, infatti, divora la biografia di Nikola Tesla, inventore geniale tragicamente morto in povertà, una storia che oltre a commuoverlo, gli insegna la prima fondamentale lezione sull’innovazione: «Inventare cose nuove non è abbastanza. Bisogna riuscire a portare quelle invenzioni nel mondo e fare sì che le persone possano usarle. Solo così si può avere un impatto reale». E questa diventa la sua missione nella vita. Google nasce proprio da qui, da quando, mentre cercava un tema per la sua tesi di dottorato a Stanford capisce che vuole concentrarsi sull’ottimizzazione delle ricerche dei documenti sul web.
Inventare cose nuove non è abbastanza. Bisogna riuscire a portare quelle invenzioni nel mondo e fare sì che le persone possano usarle.
«All’epoca c’erano circa 10 milioni di documenti in rete e se fossimo riusciti a sviluppare un metodo per contare e qualificare ogni link, il web avrebbe acquisito molta più utilità e più valore». È così che Page trova un altro dottorando, Sergey Brin e insieme iniziano a lavorare a BackRub, il primo prototipo di Google, trasformando le rispettive stanze del dormitorio universitario in un laboratorio e in un ufficio. È l’agosto del 1996 quando il loro primo motore di ricerca vede finalmente la luce del sole, Page e il suo socio hanno ventitré anni. «Avevamo capito che eravamo riusciti a sviluppare uno strumento di ricerca abbastanza buono, in grado di ordinare i link», ha raccontato Page, spiegando però che per la svolta reale avrebbero dovuto aspettare ancora due anni. «A metà del 1998 registravamo circa 10mila ricerche al giorno. È lì che abbiamo realizzato di avere davvero qualcosa di serio tra le mani».
Google esce dal garage
È proprio nel 1998 che, dalle stanze di Stanford, Larry Page e il suo collega, Sergey Brin, si trasferiscono a Menlo Park, dove oggi Facebook ha il suo quartier generale. Grazie ai primi, piccoli prestiti di parenti e amici riescono ad affittare un garage e iniziano a lavorare alla loro creazione. Il primo assegno intestato alla Google Inc lo firma Andy Bechtolsheim, un altro imprenditore chiave della Silicon valley, che decide di scommettere su questi due ventenni ancora imberbi, 100mila dollari. «All’epoca non avevamo ancora registrato la società. Per due settimane, mentre raccoglievamo tutta la documentazione non avevamo nessun posto dove depositare il denaro», ha raccontato Page. Quando finalmente la società è registrata, Page si nomina amministratore delegato e Brin presidente. E da qui Google continua a crescere e a trovare investimenti. Passano altri due anni e allo scoccare del nuovo millennio, i due soci sono riusciti a raccogliere il primo milione di dollari, una cifra che permette alla piccola squadra di trasferirsi in un ufficio vero e proprio a Mountain View, dove Google diventerà il gigante globale che è oggi. A giugno, la creatura di Page e Brin arriva ad indicizzare 1 miliardo di URL, diventando così il motore di ricerca più completo al mondo.
Per cambiare il mondo bisogna divertirsi
«Se la nostra motivazione fossero stati i soldi, avremmo venduto praticamente subito», ha ripetuto diverse volte Larry Page, ricordando gli inizi e le diverse offerte di acquisizione, quando Google era “solo” una promettentissima startup. Eppure, per il suo fondatore, questo motore di ricerca era in tutto e per tutto la realizzazione di un sogno che non aveva nessuna intenzione di cedere al miglior offerente: una creazione rivoluzionaria, in grado di avere un impatto concretissimo sul mondo. «La nostra missione era organizzare l’informazione globale e renderla accessibile e utile a tutti» e Google ha mantenuto la promessa, il mondo l’ha cambiato davvero, rivoluzionando completamente il sistema di ricerca di dati, notizie e informazioni. A determinare il successo della multinazionale, secondo Page, proprio la mission. «Quello che fa la differenza per noi è l’idea di lavorare a qualcosa di davvero importante e se stai letteralmente cambiando il mondo, allora alzarsi la mattina e venire in ufficio è molto facile e anche molto, molto divertente».
Se stai cambiando il mondo, allora alzarsi la mattina e venire in ufficio è molto facile e anche molto, molto divertente.
Il miglior posto al mondo in cui lavorare
Se poi l’ufficio è il quartier generale di Google a Mountain View, in effetti divertirsi non sembra poi così difficile. «Abbiamo cercato in tutto e per tutto di sviluppare uno spazio che promuova la creatività e lo scambio», da qui l’ambiente informale, i divani, le amache, ma anche la palestra, i campi da volleyball e la regola del “cibo che non deve essere più lontano di 150 passi”, tutto pensato per promuovere gli scambi interpersonali, la contaminazione tra dipendenti provenienti da team diversi e il pensiero “out of the box”, oltre ovviamente ad un’organizzazione del tempo assolutamente flessibile. Chi lavora qui ha diritto di dedicare il 20% del tempo a “fare ciò che ama”, il che significa partecipare a progetti di un altro team o di un’altra area, fare volontariato o anche semplicemente dormire. Altamente incoraggiato anche il work-life balance, cioè la conciliazione lavoro-famiglia, grazie ad una serie di servizi che vanno molto oltre l’asilo aziendale, dal servizio di lavanderia al ristorante che prepara cibo da asporto. «Sono modi semplici di facilitare la vita e risolvere qualche piccolo problema a chi lavora per noi; questo permette alle persone di essere più concentrate e più felici e a noi costa poco», ha raccontato Page commentando tutti gli innumerevoli benefit dei suoi dipendenti e spiegando che spesso, chi non ha il pensiero di preparare la cena, correre in lavanderia o andare a prendere i bambini nell’asilo dall’altra parte della città, può dedicare anche un po' di tempo in più al lavoro, senza sentirsi oberato di cose da fare.
A Google poi non si timbrano cartellini, la performance dei dipendenti è misurata sui risultati e quella dei manager attraverso un sistema che tiene conto anche dei feedback di chi da loro è supervisionato, in un’ottica di struttura rigorosamente orizzontale. «Le idee sono più importanti dell’età», è un motto che Page ama ripetere, spiegando che «Solo perché qualcuno è più giovane non significa che non meriti rispetto e collaborazione». Una frase ricorrente che spesso il papà di Google accompagna a un’altra massima per spiegare la sua filosofia di leadership: «La cosa peggiore che puoi fare è dire a qualcuno “No. Punto”. Se dici di no, allora devi aiutare quella persona a trovare una soluzione migliore».
E questo stile, attentissimo all’efficienza ma anche alla crescita di chi lavora per lui, è valso a Page un grado di approvazione altissimo su Glassdoor, il 96%. «Una persona silenziosa che ascolta davvero gli altri», lo ha definito un suo dipendente e, a giudicare dal grado di soddisfazione delle persone che lavorano a Google, da anni in vetta alle classifiche del Best Place to Work, sembra proprio che questa sia una descrizione che calza benissimo Larry Page. «Il mio lavoro come leader è assicurarmi che tutti in azienda abbiano grandi opportunità, che sentano di avere un impatto positivo e sentano di contribuire al bene della società».
Il problema di molte aziende è che si perdono il futuro
«Occhio a non perderti il futuro»
E se Google è il posto migliore in cui lavorare, è anche un posto dove si lavora tantissimo. Primo tra tutti, a dare l’esempio, proprio Larry Page. Non bastano tutti gli anni di successi, multimiliardario, tra gli uomini più potenti della Silicon Valley, Page continua a non considerarsi “arrivato”. «Probabilmente pensate che Google funzioni perfettamente, ma io penso che sia terribile», ha dichiarato sorridendo, in una conferenza stampa. L’ideale di Page, infatti, è ancora lontano dall’essere raggiunto. «Secondo me il motore di ricerca del futuro dovrebbe essere in grado di capire ogni cosa e di darti esattamente ciò che stai cercando. E posso dire che noi siamo ancora molto, molto lontani da questo». È proprio per raggiungere quell’ideale che Page continua ad alzarsi tutte le mattine e che la sua nutritissima squadra di prodigi dell’informatica continua a lavorare, implementando continuamente nuove funzioni del motore di ricerca. «Il problema di molte aziende è che continuano a fare le stesse identiche cose per decine e decine d’anni», ha spiegato Page. «Sai cosa fanno di fondamentalmente sbagliato? Solitamente si perdono il futuro e io non ho nessuna intenzione di fare sì che questo succeda a noi».