Che cosa c’entra una gara di Formula 1 con il biglietto per un concerto? E che cosa lega un videogioco ad una borsa di studio? La parola magica è gamification, una delle strategie vincenti utilizzate nell’ambito del welfare aziendale. Ma facciamo un passo indietro.
Molte delle grandi aziende italiane – dalla Olivetti alla Fiat, passando per la Dalmine – hanno seguito in passato un modello paternalistico che le portavano ad occuparsi il più possibile dei propri dipendenti anche quando questi erano fuori dalla fabbrica e dall’orario di lavoro.
Da tempo questo modello è crollato, ma negli ultimi anni il welfare aziendale, fortemente voluto dal governo Renzi, è tornato ad offrire ai dipendenti servizi che esulano dall’ambiente lavorativo e che riguardano aspetti molto diversi della vita quotidiana.
Quello che le aziende cercano di innestare è un circolo virtuoso per cui i lavoratori, messi in un contesto più sereno e flessibile, possano migliorare la propria efficienza, ottenendo così dall’azienda alcuni benefit personali, che a loro volta renderanno ancor più produttiva la forza lavoro.
Non si tratta di provvigioni, ma di borse di studio per i figli, biglietti per spettacoli culturali, coperture sanitarie, persino corsi di fitness: a parità di investimento, la diversa tassazione fa sì che al lavoratore e all’azienda convenga lo scambio di beni e servizi piuttosto che corrispondere un premio in denaro.
La diffusione di queste pratiche, incentivate anche dalle misure degli ultimi due governi, è testimoniata dai rapporti del Welfare Index PMI, una ricerca messa a punto da Generali Italia, Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni e da esperti dell’industria e del mondo accademico.
Nel rapporto di quest’anno, il Welfare Index PMI ha analizzato un campione di 3.422 piccole e medie industrie, evidenziando come, seppur in modo disomogeneo nella varietà dei servizi offerti, il welfare aziendale è comunque in crescita costante di diffusione, senza per altro che si siano sviluppate particolari differenze a seconda del territorio di riferimento delle aziende.
Ma come si può gestire al meglio il sistema di welfare aziendale?
Sidip World, azienda di pulizie italiana, si è inventata Merito Game, un vero e proprio videogioco che lega l’efficienza lavorativa ai risultati di una macchinina virtuale che corre contro quelle di tutti i colleghi
La maggior parte delle grandi aziende italiane ha scelto un metodo piuttosto tradizionale, che consiste nel fornire benefit – diversi da compagnia a compagnia – legati in parte alla buona resa dei dipendenti o uguali indistintamente per tutti.
Alcune di queste società, come Tetra Pak o 7Pixel, decidono quali benefit proporre o a che cosa destinare gli spazi vuoti sottoponendo periodicamente un questionario ai dipendenti. Il Colorificio San Marco, allo stesso modo, fa leva molto sul parere dei lavoratori, ma basandosi su una piattaforma software sviluppata ad hoc dove il personale può interagire e discutere. Ci sono poi strategie ancor più innovative.
Su tutte, il caso di Sidip World, azienda di pulizie italiana che si è inventata Merito Game, un vero e proprio videogioco che lega l’efficienza lavorativa ai risultati di una macchinina virtuale, del tutto personalizzabile dai dipendenti, che corre contro quelle di tutti i colleghi.
L’obiettivo? Alla fine del mese i migliori qualificati nelle gare accumulano più punti per ottenere i benefit messi a disposizione dell’azienda, tra cui assistenza medica, materiale scolastico o biglietti per concerti.
Ad ogni avatar che partecipa alla corsa sono legati dei parametri relativi alle presenze a lavoro, ai feedback dei clienti, al giudizio dei responsabili dell’azienda e persino ai meriti scolastici dei figli dei dipendenti. Il clima di competizione migliora le prestazioni sul lavoro e il gioco permette a tutti di partire alla pari, tanto che l’ultimo assunto può già dal primo mese ottenere risultati migliori di chi è in azienda da parecchio tempo.
Quello di Sidip è un caso pressocché unico in Italia, ma segue una tendenza già molto diffusa negli Stati Uniti. Reti come Happily Welfare o Day Gruppo Up riuniscono gruppi di piccole e medie imprese per condividere alcuni servizi offerti – dai buoni pasto all’ingresso in palestra – riducendo i costi
L’utilizzo di videogiochi, che gli americani chiamano gamification, è sempre più indicato per la formazione e la motivazione dei dipendenti.
Grandi multinazionali, come Microsoft, McDonald’s e Coca Cola, hanno reso la gamification uno strumento per rendere più accattivante la comunicazione interna proprio perché, oltre ad essere un linguaggio relativamente innovativo, permette di sfruttare la componente della competizione, seppure in forma ludica e virtuale.
Il mondo delle grandi aziende, però, è un universo lontano dal tessuto imprenditoriale italiano, costituito per la grande maggioranza da piccole e medie imprese.
Oltre alla competizione, le nostre aziende puntano a creare un welfare sostenibile attraverso il rapporto di fiducia coi lavoratori. È il caso, per esempio, di 3C Catene, che non obbliga più i dipendenti a rispettare gli orari di ingresso e uscita prestabiliti, ma mette a disposizione una banca di ore da cui ognuno può scegliere i propri turni, purché la somma delle ore mensili sia quella accordata.
Fiducia e senso di responsabilità sono anche al centro del progetto della Cooperativa Baobab che prevede l’affitto per 6 mesi di una casa di villeggiatura, dividendo le spese tra soci e dipendenti che si impegnano al mentenimento della stessa e hanno la possibilità, a turno, di trascorrerci una settimana di vacanza con le proprie famiglie.
È proprio tra queste aziende che è vitale lo sviluppo del welfare, ma gli investimenti di partenza non sempre sono sostenibili da queste realtà. Il già citato rapporto 2017 del Welfare Index PMI evidenzia come le imprese con il maggior numero di iniziative di welfare siano il 6,8% nelle imprese con meno di 10 addetti, il 16,2% in quelle tra i 10 e i 50 addetti, il 24,6% nelle aziende tra i 51 e i 100 e il 44,7% in quelle tra i 101 e i 250 addetti. Questo evidenzia una correlazione netta tra il numero di dipendenti e la possibilità di investire nel welfare.
Proprio per questo motivo sono nate alcune reti, come Happily Welfare o Day Gruppo Up, che riuniscono gruppi di piccole e medie imprese, in modo che possano condividere alcuni servizi offerti – dai buoni pasto all’ingresso in palestra – e riuscire così a fornire un buon programma di welfare.